Il governo della Cina sta facendo pressione sulle aziende affinché non acquistino i microchip per l’intelligenza artificiale di Nvidia – l’azienda, statunitense, più importante del settore – ma si riforniscano da produttori cinesi, così da stimolare la crescita dell’industria nazionale e rispondere alle restrizioni commerciali imposte dagli Stati Uniti.
LA CINA VUOLE L’AUTOSUFFICIENZA SUI MICROCHIP
Stando alle fonti di Bloomberg, quello cinese non è un divieto d’acquisto ma un’indicazione, che riguarda in particolare il chip H20, un modello sviluppato da Nvidia appositamente per il paese: essendo meno potente di altri processori per l’intelligenza artificiale realizzati dall’azienda, è compatibile con le regole statunitensi di controllo alle esportazioni.
Nonostante gli investimenti miliardari, la Cina non è in grado di progettare e realizzare microchip avanzati; spera allora che, disincentivando gli acquisti da aziende straniere, possa rafforzare i produttori nazionali – come Huawei e Cambricon – e preparare l’intero settore tecnologico a resistere meglio a nuove restrizioni americane, in un’ottica di autosufficienza.
Negli ultimi mesi diversi organi cinesi, incluso il ministero dell’Industria e delle tecnologie dell’informazione, hanno dunque emesso delle window guidance – cioè delle raccomandazioni ufficiose – alle aziende affinché riducano l’uso di componenti Nvidia. Il problema è che Pechino vuole contemporaneamente favorire lo sviluppo del proprio settore dell’intelligenza artificiale; di conseguenza, gli sviluppatori di modelli linguistici di grandi dimensioni – come Baichuan, Moonshot o MiniMax – avranno bisogno dei chip della società statunitense, dato che quelli cinesi non hanno prestazioni altrettanto buone.
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Nei mesi scorsi diverse compagnie tecnologiche cinesi, come ByteDance e Tencent, hanno fatto scorta di microchip di Nvidia prima che entrassero in vigore i nuovi controlli statunitensi alle esportazioni. E oggi – scrive Bloomberg – diverse aziende cinesi di intelligenza artificiale stanno ignorando le raccomandazioni governative e acquistando grandi quantità di processori H20, assieme ai chip di Huawei.
L’ANALISI DI ARESU
“È normale che questo gioco continui: il ritardo degli attori cinesi verso Nvidia non sarà colmato nel breve termine e la Cina compra Gpu anche attraverso la Malesia o Singapore. Diverso lo stato dell’automotive dove i cinesi sono ormai molto avanti nella ‘chiusura’ della filiera”. Questo il commento su X di Alessandro Aresu, analista politico e autore de Il dominio del XXI secolo.
L’IMPORTANZA DELLA CINA PER NVIDIA
Dopo la pubblicazione della notizia da parte di Bloomberg, le azioni di Nvidia hanno perso fino al 3,9 per cento in borsa. Nonostante le restrizioni americane, la Cina continua a essere un mercato molto rilevante per l’azienda: nel trimestre conclusosi a luglio il paese è valso il 12 per cento delle entrate totali.
La direttrice finanziaria Colette Kress ha dichiarato a proposito che “i nostri ricavi legati ai data center in Cina sono cresciuti in modo sequenziale nel secondo trimestre e contribuiscono in modo significativo” ai ricavi complessivi dell’unità. Ha tuttavia aggiunto che “la percentuale rispetto al fatturato totale dei data center rimane inferiore ai livelli registrati prima dell’imposizione dei controlli sulle esportazioni”.
L’AVANZAMENTO SUL CHIPMAKING
Nei giorni scorsi le autorità cinesi hanno annunciato un avanzamento tecnologico nei macchinari per la fabbricazione di microchip: nello specifico, il ministero dell’Industria ha parlato di un nuovo apparecchio per la litografia a immersione dalla risoluzione di 65 nanometri o superiore.
Nonostante il progresso rispetto alle precedenti macchine da 90 nanometri, la Cina rimane comunque parecchio indietro all’olandese Asml, i cui macchinari migliori hanno una risoluzione di 8 nanometri.