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Petrolio, 5G e non solo. Che cosa cela l’accordo Cina-Iran

A fine marzo Cina e Iran hanno firmato un accordo di partnership strategica, con grandi investimenti in 25 anni. Ma i rapporti tra i due paesi si fondano soprattutto su una cosa: il petrolio.

Nel mese di marzo arriveranno in Cina quasi un milione di barili di greggio iraniano al giorno. È all’incirca la metà del volume che l’Arabia Saudita (il primo esportatore di petrolio al mondo) ha fornito alla Cina (il maggiore importatore) nei primi due mesi del 2021.

La società di ricerca Refinitiv stima che a marzo il paese riceverà in tutto 27 milioni di barili dall’Iran, ovvero 3,7 milioni di tonnellate, andando così a superare il record di 3,3 milioni di tonnellate stabilito a gennaio. Secondo Emma Li, analista a Refinitiv, il trend degli acquisti sta dunque proseguendo, “anche se l’appetito [cinese] sta scemando per via delle scorte elevate nei porti e delle forniture abbondanti”.

Una fonte informata sui movimenti navali iraniani ha detto all’agenzia Reuters che i carichi di greggio diretti in Cina a marzo ammontano a 30 milioni di barili. La società di consulenza SVB Energy International stima che questo mese le esportazioni petrolifere dell’Iran abbiano superato il milione di barili al giorno.

LE SPEDIZIONI INDIRETTE TRA IRAN E CINA

Sempre Reuters aveva scritto che dall’inizio del 2021 la Cina ha importato volumi record di petrolio iraniano, nonostante le sanzioni imposte dagli Stati Uniti. Lo ha fatto ricorrendo spesso a spedizioni “indirette”, che prevedono cioè il passaggio del carico da una nave all’altra per complicarne il tracciamento ed eludere le misure punitive. Negli ultimi quattordici mesi l’Iran ha mandato in Cina mediamente 306mila barili al giorno.

IL PESO DELLA CINA SUL MERCATO DEL PETROLIO

Gli analisti del settore ritengono che la domanda cinese sia stata uno dei fattori che ha portato ad un abbassamento dei prezzi del benchmark Brent dai 70 dollari al barile, andando di conseguenza a ridurre lo spazio di manovra per il gruppo OPEC+, i cui membri stavano valutando la possibilità di aumentare l’offerta sul mercato.

L’ACCORDO DI PARTNERSHIP STRATEGICA

La Cina rappresenta la destinazione principale per il petrolio iraniano. La settimana scorsa Pechino aveva detto di volersi impegnare per la tutela dell’accordo sul nucleare del 2015 (dal quale il precedente presidente americano Donald Trump si era ritirato) e per la difesa dei “legittimi interessi” nelle relazioni sino-iraniane.

Sabato 27 marzo Pechino e Teheran hanno peraltro firmato un programma di partnership strategica, nel corso di una visita nel paese del ministro degli Esteri cinese Wang Yi. I dettagli non sono stati resi pubblici, ma il New York Times ha scritto che il contenuto dell’accordo finale è sostanzialmente uguale a quello della bozza ottenuta e pubblicata l’anno scorso dal quotidiano.

Si parla quindi di investimenti cinesi per 400 miliardi di dollari in Iran nei prossimi venticinque anni, che si dirigeranno in una serie di settori sensibili: banche; telecomunicazioni (e quindi 5G e il sistema di posizionamento satellitare BeiDou); sanità; tecnologie dell’informazione (e quindi sistemi di controllo su Internet); strade, porti e infrastrutture varie. Nella bozza si leggeva anche di un approfondimento della cooperazione militare.

In cambio, la Cina riceverà dall’Iran forniture di petrolio a prezzi scontati. Pechino si è impegnata a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060, ma almeno fino a quella data – ma probabilmente anche oltre: “zero emissioni nette” non significa rinunciare del tutto ai combustibili fossili – continuerà ad avere bisogno di greggio. Meglio se a prezzi vantaggiosi.

Non è soltanto una questione di convenienza economica ma anche di sicurezza energetica: una priorità nella politica estera della Cina, che importa circa il 75 per cento del petrolio che consuma e ha bisogno, di conseguenza, di garantirsi che i carichi arrivino a destinazione.

LE SANZIONI AMERICANE ALL’IRAN

Henry Rome, analista presso la società di consulenza Eurasia Group, ha spiegato che l’aumento delle esportazioni petrolifere iraniane verso la Cina “rappresenta una sfida per il regime sanzionatorio statunitense. Tuttavia, la struttura delle sanzioni non è in alcun modo sull’orlo del collasso, soprattutto perché l’Iran non è in grado di rimpatriare gran parte di quei profitti”.

IL RUOLO DELLA PROVINCIA DI SHANDONG

Stando ai dati di Refinitiv, nei primi 19 giorni di marzo in Cina sono stati scaricati carichi di greggio iraniano per circa 650mila barili, principalmente nella provincia orientale di Shandong, che funge un po’ da hub per le raffinerie indipendenti cinesi.

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