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Meritocrazia

Che cosa succede in Italia

L'opinione di Giuliano Cazzola

‘’Il patriottismo è quando l’amore per la tua gente viene per primo; il nazionalismo quando viene per primo l’odio per quelli che non appartengono alla tua gente’’. È una considerazione appartenuta al Generale De Gaulle, una personalità che di patriottismo se ne intendeva al punto di darne più volte dimostrazioni che sono entrate nella storia. Facendo nostra quella definizione di nazionalismo (ed includendovi tutti gli altri ‘’ismi’’ che avvelenano le fonti del vivere civile) è evidente constatare che di questa ‘’passione triste’’ (sono parole di Emmanuel Macron) esistono diverse stagioni, come il pret à porter nella moda. Ed in ognuna di esse se il nemico è sempre lo straniero, cambia però la sua nazionalità, si mettono nel mirino dell’odio xenofobo altre comunità ed etnie.

A condizionare gli scenari sono i fatti di cronaca e l’attenzione ad essi dedicata dai media (fateci caso: un problema esiste solo se ne parla e quanto a lungo la tv; quando scompare dei teleschermi, sparisce anche dalla vita delle persone). Alcuni anni or sono, in parallelo con gli attentati e le stragi compiute dai terroristi islamici (quasi tutti cittadini dei paesi colpiti), il nemico erano diventati i mussulmani. I talk show discettavano sull’esistenza di un Islam moderato, mettendo sotto interrogatorio i leader di quelle comunità. E guai se qualcuno pretendeva di costruire una moschea. I residenti della zona prescelta scendevano in piazza per impedire quello scempio, sostenendo che l’edificio non sarebbe mai stato un luogo di culto ma una scuola di terrorismo oltreché un punto di raccolta di stranieri provenienti anche da altri quartieri. Le amministrazioni comunali erano messe sotto tiro se mai si fossero azzardate a concedere l’autorizzazione. Ricordo che, una Erinni del maccartismo patriottico, purtroppo ancora in servizio permanente effettivo come ruota di scorta della macchina da guerra del Capitano contro i migranti, allora teorizzava che dovevano essere accolti solo i profughi di religione cristiana.

Il saggio di cui si parlava nei salotti era ‘’Sottomissione’’ un romanzo fantapolitico dello scrittore francese Michel Houellebecq, pubblicato nel gennaio del 2015 ed edito in Italia da Bompiani. Era la storia di un intellettuale parigino che ad un certo punto decide di convertirsi all’Islam per mantenere una posizione di privilegio nell’Università e nella società, dopo che il partito mussulmano, nelle elezioni legislative, è riuscito ad ottenere un ruolo determinante nella coalizione di maggioranza e di governo, tanto che le élites non esitano a passare, in ranghi, all’osservanza del Corano. L’amante dello scrittore, essendo ebrea, espatria in Israele. Ma il nostro protagonista è ansioso di cimentarsi con la poligamia. Sul fronte internazionale e nello scenario del Medio Oriente, le truppe del sedicente Stato islamico compivano stragi e devastazioni. Per fortuna, per averne ragione, non fu necessaria una nuova battaglia di Lepanto; bastò una coalizione internazionale predisposta dalle grandi potenze con droni e aerei sofisticati, mentre i Curdi ci lasciavano la pelle nel deserto e nelle periferie delle città ‘’da liberare’’. Del resto, mutatis mutandis, non è sempre stato questo il ruolo delle ‘’truppe coloniali’’? Le guerre in quella parte del mondo hanno provocato la fuga di centinaia di migliaia di profughi verso l’Europa (in particolare, attraverso il Canale di Sicilia e la rotta greco-balcanica), ponendo dei problemi seri a tutti i Paesi (la Germania accolse, in quegli anni, quasi un milione di migranti siriani).

Poi ci pensò Erdogan a liberarci, a pagamento, del disturbo. La speculazione xenofoba si rivolse a sud: l’invasione, ‘’lo nero periglio che vien da lo mare’’, era di matrice africana – spesso sub sahariana ed era in larga misura un’emigrazione di carattere economico (se la fame, la siccità, le malattie, la mortalità infantile possono essere ricomprese sotto questo titolo). Di fronte alle migliaia di uomini, donne e bambini che annegavano quando i gommoni stracarichi andavano a picco, la prima reazione – civile ed umanitaria – fu quella di provvedere al salvataggio di vite umane. Dopo la tragedia di Lampedusa, prese avvio l ‘operazione Mare nostrum, una vasta missione di salvataggio in mare dei migranti che cercavano di attraversare il Canale di Sicilia dalle coste libiche al territorio italiano e maltese, e che fu attuata dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014 dalle forze della Marina Militare e dell’Aeronautica Militare italiane. Ma intanto l’orientamento dell’opinione pubblica, opportunamente sobillata, stava cambiando. Le forze xenofobe avevano individuato un enorme argomento di propaganda, sfruttando la ‘’percezione’’ ingigantita di un fenomeno che, sul complesso dei flussi dell’immigrazione, pesava e pesa poco più del 3%. Così la successiva operazione Triton, a cui parteciparono mezzi navali di altri Paesi, cambiò di segno: diventò un’iniziativa in difesa dei confini meridionali dell’Unione. Naturalmente, poco alla volta, le navi di Triton, in ossequio alle leggi del mare, finirono per soccorrere e raccogliere i naufragi anziché impedire il loro accesso sul ‘’sacro suolo’’ della patria.

E così la missione Triton si dileguò. La svolta avvenne grazie all’accordo con il governo e i capi tribù libici che si impegnarono a trattenere i migranti, in cambio della consegna di una sgangherata Guardia costiera. Sappiamo benissimo ciò che avviene nei campi di concentramento sull’altra sponda del mare nostrum come gli abitanti di Weimar conoscevano di certo quale fosse il valore della vita e della morte nel vicino campo di sterminio di Buchenwald. Ma all’opinione pubblica italiana bastava non avere i negher tra i piedi, visto che era già tanto difficile cimentarsi con gli zingari di varie etnie. Addirittura era considerata sufficiente la ‘’percezione’’ che il governo adottasse, al di là dei risultati conseguiti, la linea della fermezza. Col trascorrere dei mesi e degli anni ci siamo messi alla coda di un pifferaio che ha costruito la sua fortuna politica sulla menzogna, l’odio, la xenofobia e il razzismo. Ormai siamo ‘’mitridatizzati’’. Se capita che i migranti – a decine o a centinaia – perdono la vita in un naufragio, la risposta è – l’ho sentita con le mie orecchie – ‘’mica gli abbiamo invitati noi’’. Ma purtroppo questa è vita quotidiana.

Prediamo come paradigma il caso del vice brigadiere dei CC, ammazzato a coltellate a Roma nella notte del 25 luglio. Subito – come un riflesso pavloviano – si è pensato che gli assassini non potessero che essere africani: ‘’bastardi’’ nigeriani secondo Salvini (che ha rilasciato dichiarazioni indegne di un ministro); ‘’animali’’ magrebini secondo Giorgia Meloni. A leggere poi i commenti sui social c’era da sentirsi accapponare la pelle: venivano evocate la pena di morte, la caccia all’uomo, il linciaggio, l’impiccagione senza processo e quant’altro. Poi quando si è scoperto che l’assassino era un cittadino degli Stati Uniti, wasp, di discendenze ariane, gli animi si sono calmati ed hanno lasciato il posto alla solidarietà ed alla commozione di fronte ad una giovane vita stroncata. È rimasto però un po’ di amaro in bocca in tanti nostri concittadini e in quei marpioni che instillano loro, quotidianamente, un gallone di odio. Come se gli avessero disdetto, all’ultimo momento, l’invito ad una festa. E l’Italia è ritornata, nel giro di poche ore, il paese di Cesare Beccaria. Chi avrebbe voluto linciare i negher assassini, si è indignato davanti alla foto di uno dei due giovani americani (civis romanus sum) ammanettato e bendato in Questura (senza che visibilmente mostrasse segni di percosse o di torture). Ovviamente – per quanto ci riguarda – crediamo sia stato giusto accertare i fatti ed assumere, intanto, delle misure amministrative. Non si venga, però, a dire che le forze dell’ordine sono disarmate nei confronti della criminalità. Comunque, quella foto ha compiuto in poche ore il giro del mondo suscitando critiche di ogni tipo. Facciamoci pur sempre riconoscere. Ma è più responsabile un carabiniere che esagera nelle misure di cautela o un ministro che evoca l’ergastolo, i lavori forzati per marcire in galera nel paese d’origine?

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