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Centrodestra

Berlusconi, la leucemia e l’immaginario collettivo

La Nota di Paola Sacchi.

 

Erano i giorni dell’operazione ad alto rischio al cuore, anche altri contesti politici, ma i Cinque Stelle certamente sono stati sempre e restano nel rapporto con il Cav come quello tra il diavolo e l’acqua santa. Eppure, in Transatlantico un esponente, e anche di un certo peso, dei cosiddetti grillini mi si avvicinò e mi chiese, in via del tutto riservata, che tale resterà, con sincera preoccupazione anche umana: “Ma come sta andando questa operazione? Non finisce mai…”.

Silvio Berlusconi, comunque si pensi di lui, è e resta anche stavolta ovviamente per amici e alleati, ma anche per gli avversari più acerrimi, il punto fermo di un assetto politico, che lui stesso ha segnato, fondando, con la sua discesa in campo quasi trent’anni fa, con il centrodestra, il bipolarismo. E la stessa cosa si ripropone dopo il suo ricovero in terapia intensiva, da dove comunque ha già chiamato mezzo mondo, dai familiari ai dirigenti del partito da lui creato Forza Italia, a cominciare dal suo numero due Antonio Tajani, agli alleati, il premier Giorgia Meloni e l’altro vicepremier, oltre a Tajani, Matteo Salvini che ha scritto sui social: “La telefonata più bella”.

“Io non mollo”, come titola oggi Il Giornale, ha detto a tutti Berlusconi, che sta reagendo bene alle cure. Ma lo schema dell’attenzione corale sulle sue condizioni di salute – comunque migliorate, seppur sia stata per la prima volta dal bollettino medico ufficializzata la parola “leucemia cronica di cui soffre da tempo” (da dire che il Cav un tumore lo ha già sconfitto anni fa) – si ripete ancora di più questa volta nel Paese. Anche tra chi lo contesta, non lo vota, non si fa che parlare d’altro, al netto dei soliti odiatori da social che però non sono la vita reale. Come ha scritto il direttore del quotidiano Il Giornale, Augusto Minzolini, in un editoriale che dà il senso di come gli italiani si rapportano a Berlusconi, il Cav è l’uomo che appartiene a tutto il Paese, al suo immaginario collettivo, tra chi non lo vota o chi come certa “Italia profonda” si immedesima in lui, l’uomo di successo, “con pregi e anche vizi” tutti italiani. Il Cav è l’icona del grande imprenditore, che ha creato un impero, patrimonio nazionale da migliaia di posti di lavoro, l’icona di certa geniale e creativa imprenditoria tutta italiana, il self made man, l’outsider poi in politica che ha portato per la prima volta la destra al governo, fondando l’altro polo, la formula della coalizione di centrodestra, ricetta rivelatasi fino ai nostri giorni vincente, seppur con la destra di Meloni maggioritaria alle Politiche di settembre.

La notizia sul suo ricovero finisce pure sui grandi giornali esteri. L’uomo dei grandi successi del Milan imbattuto, colui che inventò lo slogan “il sole in tasca”, la raccomandazione che faceva ai suoi manager agli esordi anche da costruttore di quel modello che è rimasto Milano2, attrae tutti i riflettori sulle notizie della sua salute. È l’ulteriore conferma del fatto che la leadership del Cav, come mi disse un ex top manager delle sue aziende, non può essere valutata solo con i numeri alterni di Forza Italia, che, comunque, ha tenuto anche alle ultime Regionali, doppiando se non triplicando il Terzo Polo. Quella di Berlusconi è una leadership che si pesa, non si conta, un po’ come diceva Enrico Cuccia per le azioni. Cav, come valore aggiunto, variabile indipendente e non solo per la ovvia considerazione sul fatto che lui rappresenta anche una potenza finanziaria e mediatica. Ma per lo stile Cav.

Pur essendo da sempre favorevole a un controllo e un fermo all’immigrazione clandestina, il premier che attuò con i Paesi “vicini” del Mediterraneo accordi per sviluppo e crescita (come sta facendo ora anche il governo Meloni) sulla scia delle politiche di Bettino Craxi e Giulio Andreotti, Berlusconi è anche quello che si presentò in lacrime a Otranto.

Vari anni fa, era Pasqua anche allora, governo di Romano Prodi, blocco navale. Un’imbarcazione di profughi dall’Albania in rivolta viene speronata in un incidente da una nave della nostra Marina Militare. Il Cav, elegante doppiopetto Caraceni, che non ingessa però anche il forte tratto umanitario della sua personalità, si presenta, esplode in lacrime per quei più di cento poveri profughi albanesi morti. Aiuta economicamente famiglie di sopravvissuti, con tanto di solite ironie dei soliti sinistri odiatori. Ma il Cav non specula sulla tragedia, su quel blocco navale di un governo di centrosinistra, l’unico finora attuato, al netto delle accuse a Meloni. Non chiede le dimissioni di Prodi per questo. Continua a combatterlo sul piano della dialettica politica da leader allora dell’opposizione.

Quanto alla politica estera, Berlusconi sulla guerra in Kosovo durante il governo di Massimo D’Alema, appoggiò quell’esecutivo, nella netta distinzioni dei ruoli. Consapevole il Cav, poi quattro volte premier, della necessità che su quel nodo cruciale allora della politica estera l’Italia non si doveva dividere. Opposizione dura, ma sempre responsabile. Stile Cav. Statista della Seconda Repubblica. Anche per questo la “gente di tutti I giorni” ora non fa che parlare di lui come uno “di casa”.

Cav, uomo di tutto il Paese, anche di chi non lo vota. Una storia italiana, come il titolo dell’opuscolo di una campagna elettorale dei suoi esordi in politica, nella sua seconda vita, iniziata alla soglia dei sessant’anni.

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