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Craxi

La politica estera di Bettino Craxi vista da prof e analisti

Chi c'era e che cosa si è detto alla presentazione del volume “Craxi e il ruolo dell’Italia nel sistema internazionale”, curato da Gennaro Acquaviva e Antonio Varsori per i tipi del Mulino.

 

Gli euromissili, la ferma collocazione euro-atlantica, il ringraziamento da Oltreoceano per aver posto fine alla guerra fredda con l’arma della deterrenza, ma anche Sigonella, ovvero Bettino Craxi che non ritiene di chiedere scusa perché, a suo avviso, dovrebbero chiederla gli Usa (la ricomposizione, Reagan che poi gli scrisse: “Dear Bettino…”), l’anticomunismo e la difesa della libertà, “principio non negoziabile”, “mio padre che affrancò il Psi dal ruolo di parente povero del Pci”, ricorda Stefania Craxi, senatrice di FI, presidente della commissione Esteri e Difesa di Palazzo Madama, figlia dello statista socialista.

Craxi è cinque volte “C”: conoscenza, competenza nella politica estera, coraggio, creatività, comunicazione, riassume l’ambasciatore Michele Valensise, presidente del centro Italo-tedesco Villa Vigoni. Un messaggio denso e significativo viene dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano sulla “lungimiranza” e “contemporaneità” di Craxi che seppe dare all’Italia “un ruolo autonomo” nell’adesione europea e atlantica.

Il convegno della Fondazione Craxi di presentazione del volume Craxi e il ruolo dell’Italia nel sistema internazionale, curato da Gennaro Acquaviva e Antonio Varsori per i tipi del Mulino, dà conto di tanti aspetti dello statista “di prima grandezza, con la passione per la politica estera”, ricorda Margherita Boniver, presidente della Fondazione.

Il volume raccoglie i contributi di studiosi che, sulla scorta di nuove acquisizioni documentarie, ampliano l’orizzonte interpretativo di una fase storica, quella compresa tra la seconda metà degli anni Settanta e il successivo decennio del secolo scorso, foriera di profondi cambiamenti sistemici, centrando l’analisi sul ruolo e sulle scelte strategiche operate da Bettino Craxi, figura centrale per la comprensione delle dinamiche di storia repubblicana e internazionale. I due curatori si confrontano, in un dibattito moderato da Marcello Sorgi, editorialista della “Stampa” , con Giovanni Orsina, direttore della School of Government della Luiss; Andrea Guiso, professore di Storia Contemporanea presso l’Università “La Sapienza”, Valensise e la senatrice Craxi.

Si incomincia con un Bettino giovanissimo universitario, vicepresidente dell’Unuri che va a Praga nel 1954, capisce che lì non c’è la libertà, conosce Jiri Pelikan con cui nasce un lungo sodalizio, ha il coraggio poi da premier nel 1985 di andare a Mosca a chiedere la liberazione di Sakharov e sua moglie.

Ma Craxi, ricorda sua figlia Stefania, è anche il leader che si batte per i diritti e la libertà dei popoli vittime di tutte le dittature. È il giovane dirigente che va in Cile a omaggiare al cimitero, subito dopo il golpe di Pinochet, le spoglie di Allende e sfida i “carabineros” che gli intimano: “Un paso mas y tiro”. “Dai cileni agli argentini agli equadoregni, non c’è popolo che non abbia avuto il suo sostegno”, sottolinea Stefania Craxi.

“Bettino” è il leader, in asse con Giulio Andreotti, della “pace” nel Mediterraneo, del dialogo Nord-Sud del mondo, dove ha anche ricoperto il ruolo di consigliere personale del Segretario Generale dell’Onu, Perez de Cuellar. Una grande storia che, dice Acquaviva, suo ex capo della segreteria e consigliere politico a Palazzo Chigi, “non può essere sporcata da Mani pulite”.

Quel leader, diventato segretario del Psi nel 1976 ridando vita a un partito quasi morente, suscitava una costante curiosità e simpatia da parte degli americani per la sua modernità e il suo pragmatismo, a cominciare dal linguaggio diretto, nuovo, non più ampolloso, ma certamente destava anche diffidenze. Craxi, ovvero il leader che fece la differenza rendendo protagonista un partito non grande, un Paese con la società civile molto vitale ma con una classe politica fragile. E, ammonisce sua figlia Stefania, “la fragilità del sistema politico italiano risiede anche nel fatto che in questo Paese c’è sempre un pezzo di politica che tifa per il nemico, non dico quale, ma ha tifato per il nemico ai tempi della Guerra fredda, al tempo dell’Europa delle gerarchie di potenza”.

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