Lo smart working è ancora troppo poco sfruttato in Italia, ma una spinta potrebbe ora arrivare dalla Pubblica Amministrazione e dalla riforma Madia
Lo smart working, o lavoro agile, piace, soprattutto ai giovani. La possibilità di lavorare ovunque e a qualsiasi ora, offra la possibilità di conciliare famiglia e lavoro, amici e tempi di relax (almeno così, dovrebbe essere in teoria). Una migliore organizzazione dovrebbe significare una migliore qualità del lavoro, e dunque, vantaggi non di poco per l’azienda. Eppure, sono ancora troppo poche le società del Bel Paese che si affidano a questa soluzione.
Lo smart working in Italia

Le ricerca è stata effettuata in 15 paesi: 10 Stati membri dell’Unione Europea (Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Svezia e Ungheria) più Argentina, Brasile, Giappone, India e Stati Uniti.
E in Europa?
Anche in Europa, se vogliamo dirla tutta, i risultati non brillanti. Nei paesi dell’Unione Europea circa il 17 per cento dei dipendenti è in media impegnato in questi tipi di lavoro.
La media, ovviamente, varia da Paese e Paese, in base anche a mansioni e settori di attività.Danimarca e Svezia guidano la classifica con il 40% e il 32% di lavoratori “da remoto”. In Germania solo il 10% dei dipendenti pratica smart working.
Parlando del Vecchio Continente, è giusto precisare che, ad oggi, solo l’Unione Europea, attraverso l’”Accordo quadro sul telelavoro”, ha cercato (e adottato) delle soluzioni per adattarsi alla digitalizzazione e al cambiamento del mondo del telelavoro.
Lo smart Working nel resto del mondo
Molto diffuso negli Stati Uniti, con una percentuale al 37%, e in Giappone, dove si incoraggia il telelavoro, per esempio, per ridurre gli spazi in ufficio, il lavoro da casa o lo smart working sono una vera e propria necessità in Brasile.
Nelle grandi città brasiliane, infatti, lavorare da casa significa risparmiare il tempo per arrivare in ufficio.
Pro e contro del lavoro agile

E dunque, più che equilibrio, c’è in realtà una sovrapposizione tra la vita lavorativa e quella privata. E tutto questo può portare ad un alto livello di stress. Basti pensare che negli Stati Uniti è stato accertato che il 78% delle ore di lavoro in più tra il 2007 e il 2014 sono da attribuire al lavoro da svolto da casa.
E ancore: in Giappone circa il 30% dei smart worker lavora 6 o 7 giorni a settimana.
Smart working in Italia: una spinta dal pubblico impiego?
Una spinta allo smart working, in Italia, potrebbe arrivare proprio dalla Pubblica Amministrazione. È arrivata in consiglio dei Ministri la grande riforma del pubblico impiego, cuore della delega per la riorganizzazione della P.A.. Si tratta del decreto che disciplina i rapporti di lavoro, ovvero il Testo Unico del pubblico impiego: tra le misure principali anche quello dello smart working.
La riforma Madia punta al lavoro agile per cambiare il pubblico impiego, contrastando gli assenteisti, anche attraverso nuove formule che abbattano le barriere casa-ufficio. L’obiettivo da centrare, come si intuisce dal testo, non è quello di totalizzare quante più ore possibili davanti alla scrivania, ma raggiungere dei target per servizi pubblici funzionanti e di qualità.
In particolare, la riforma prevede che almeno il 10% dei dipendenti pubblici, dove lo richiedano, entro il 2018, possa avvalersi di nuove modalità spazio-temporali di lavoro.
Lo smart working favorisce la carriera delle donne?

La ricerca dimostra che le donne sfruttano le proprie competenze digitali nel lavoro e per fare carriera, molto più degli uomini. E allora se le istituzioni riuscissero ad incentivare e valorizzare la cultura del digitale e se le aziende, in un futuro prossimo, decidessero di affidarsi sempre più alla tecnologia si potrebbe sperare in una parità di genere entro 25 anni. Si tratta di un risultato importante, soprattutto se si pensa che questa parità, allo stato attuale delle cose, potrebbe arrivare solo tra 50 anni (il doppio del tempo).
Tempistiche diverse, invece, per i Paesi in via di sviluppo, dove la parità di genere potrebbe essere raggiunta in 45 anni grazie al digitale (sempre meno degli 85 anni previsti al ritmo odierno).
‘Le donne rappresentano un serbatoio ancora inesplorato di talenti che può contribuire a colmare il divario tra le competenze necessarie a restare competitivi e il talento a disposizione’, ha commentato Pierre Nanterme, Presidente e CEO di Accenture.
Anche in Italia il Digitale potrebbe facilitare la carriera delle donne: se è vero, infatti, che anche gli uomini si dichiarino preparati sul fronte della tecnologia, è vero anche che sono le donne a saper sfruttare al meglio queste competenze sul posto di lavoro, almeno secondo quanto riferito dalla ricerca.
A credere nelle potenzialità delle donne, digitale a parte, sono comunque sempre più aziende. Ad oggi le quote rosa sono il 32,2% del totale e 464 donne in carriera sono executives. Entro il 2017, si prevede che le quote rosa sfioreranno il 40%.
Smart Working: in Francia una legge per salvaguardare la vita privata

E così, a partire dal 1 gennaio 2017, in base all’articolo 55 della Loi Travail, approvata dal Parlamento ad agosto 2016, la Francia impone alle aziende con più di 50 dipendenti di fissare (e rispettare) con accordi interni e sindacati tempi e modi per essere “offline”.
Anche la Germania ha iniziato a valutare l’opportunità di introdurre nuovi accordi a livello aziendale, nel quadro della legislazione vigente o di nuove leggi.





