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Vi racconto le smart city costruite da Fincantieri

L'articolo di Salvatore Toriello

Nei giorni scorsi ho partecipato a Porto Marghera alla consegna da parte di Fincantieri, la società guidata da Giuseppe Bono, della nave da crociera “ Nieuw Statendam” alla Compagnia Holland American Line, brand del gruppo internazionale Carnival Corporation, il più grande operatore al mondo del settore crocieristico.

È la sedicesima nave che Fincantieri (che in portafoglio ha ordini per 104 navi) consegna a questa compagnia.

Ma oltre questi numeri importanti, voglio raccontarvi ciò che ho visto e le sensazioni che ho avuto visitando tutti i comparti della nave con il capo-progettista navale, il triestino Maurizio Cergol, considerato uno dei massimi esperti al mondo del settore.

Mi sono trovato immerso in un sistema ingegneristico impiantistico e produttivo che oserei definire una “smart city galleggiante”. Un enorme insieme di connessioni e sensori tutti in sinergia tra di loro e ottimizzati da una rete informatica che permette un controllo e un governo continuo.

Tutto è connesso: dalla meccanica, ai motori, alla guida, all’energia prodotta, al controllo ambientale e a tutto ciò che accade sotto e sopra la nave. Tutt’altra cosa di un insieme di scafo, propulsori ed arredi dei quali erano costituite le navi di linea fino alla seconda metà del secolo scorso.

Ma perché vi sto parlando di quest’esperienza?

Perché nella Fincantieri mi ha colpito, oltre alle sue capacità meccaniche e logistiche che tutti abbiamo occasione di vedere nelle foto e nei video di qualche evento del quale è protagonista, ciò che c’è “dietro” e “dentro”, ossia la sua capacità impiantistica e di connessione che ne fanno un produttore di città galleggianti con tutti i servizi controllati e gestiti da apparati centrali molto avanzati.

Date le mie esperienze passate, una moderna nave da crociera mi è apparsa un “Sistema Complesso” come lo erano ad esempio le centrali nucleari che il nostro Paese aveva progettato e si apprestava a costruire con criteri molto innovativi negli anni 70 e 80.

Una delle conseguenze che derivarono dalla chiusura del nucleare in Italia fu la scomparsa, direi lo spreco, di tutte quelle validissime competenze (ingegneri, fisici, chimici, matematici…) che stavano dando vita all’industria nucleare nazionale.

A Porto Marghera ho toccato con mano che questa capacità, malgrado tutto, è ancora vitale e non manca di manifestarsi ai massimi livelli se e quando vi sia una impresa che, con l’occhio lungo delle finalità strategiche, si impegni ed investa nella aggregazione di tante competenze per raggiungere una eccellenza con la quale primeggiare nel mondo. Per questo motivo sono tornato a Roma un po’ più ottimista sul futuro industriale di questo nostro Paese e mi è sembrato opportuno raccontare l’ottimismo e l’occasione che lo ha alimentato.

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