Gli Stati Uniti hanno avviato un’indagine sulle pratiche anticoncorrenziali dell’industria cinese dei microchip, prendendo di mira in particolare i cosiddetti legacy chip, cioè i dispositivi non avanzati e di grandi dimensioni (dai ventotto nanometri in su) che però sono utilizzatissimi: sono presenti nelle automobili e negli elettrodomestici, ad esempio, e anche in alcuni sistemi per la difesa e per le telecomunicazioni.
I legacy chip non sono né performanti né ritenuti di importanza critica quanto i semiconduttori per l’intelligenza artificiale, che hanno dimensioni molto più ridotte. Ciononostante, la segretaria al Commercio Gina Raimondo ha spiegato che “abbiamo bisogno di catene di approvvigionamento resistenti per questi chip, perché abbiamo visto cosa è successo durante il Covid”: l’affidamento eccessivo ai fornitori stranieri in un momento di crisi della logistica, cioè, ha causato in molti casi l’interruzione della produzione e ha fatto salire i prezzi.
NUOVI DAZI IN ARRIVO?
L’indagine richiederà mesi e potrebbe fornire al prossimo presidente, Donald Trump, l’occasione di imporre nuovi dazi contro la Cina. A maggio, comunque, l’amministrazione di Joe Biden aveva già annunciato un raddoppio – dal 25 al 50 per cento – delle tariffe proprio sui legacy chip di importazione cinese, a partire dal 2025.
L’INDAGINE SUI LEGACY CHIP CINESI
Secondo una recente indagine del dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, più dei due terzi dei prodotti realizzati dalle aziende americane contengono microchip di fabbricazione cinese. La Cina è una grossa produttrice di chip tecnologicamente maturi, mentre non possiede le capacità di progettare e fabbricare quelli all’avanguardia.
Nel comunicato dove viene presentata l’indagine, l’amministrazione Biden afferma che Pechino sta cercando “di dominare i mercati nazionali e globali dell’industria dei semiconduttori e ha adottato ampie pratiche anticoncorrenziali e non di mercato, tra cui la definizione e il perseguimento di obiettivi di quota di mercato, per raggiungere l’indigenizzazione e l’autosufficienza”.
Washington sostiene inoltre che “atti, politiche e pratiche” dell’industria cinese dei microchip “sembrano avere e minacciare impatti dannosi” sull’economia degli Stati Uniti e di altri paesi perché potrebbero minarne la competitività, lo stato della filiera e la sicurezza.
LE ULTIME RESTRIZIONI DI BIDEN SUI MICROCHIP
A inizio dicembre gli Stati Uniti hanno introdotto nuove restrizioni al commercio di semiconduttori e macchinari di chipmaking con la Cina: più nello specifico, questi controlli alle esportazioni riguardano le memorie a grande ampiezza di banda (sono componenti necessari ai microchip per l’intelligenza artificiale) e ventiquattro tipologie di apparecchi manifatturieri.
Inoltre, sono state aggiunte centoquaranta società cinesi alla cosiddetta entity list, cioè la “lista nera” contenente tutti quei soggetti con i quali non si può commerciare liberamente perché ritenuti collegati al governo di Pechino. Tra le aziende cinesi sottoposte a restrizioni ci sono Huawei e Smic.