La società statunitense Intel ha annunciato oggi di aver interrotto l’acquisizione di Tower Semiconductor, un’azienda israeliana che produce microchip, per non aver ottenuto le autorizzazioni necessarie. Non è chiaro cosa sia successo nello specifico; sappiamo, però, che l’epilogo è stato causato dall’ente di regolazione antitrust cinese.
Per essere venuta meno ai termini dell’accordo firmato con Tower a febbraio dell’anno scorso, Intel pagherà una penale di 353 milioni di dollari. L’operazione era stata valutata 5,4 miliardi.
COSA C’ENTRA LA CINA?
Anticipando la notizia di un giorno, Reuters aveva scritto martedì che Intel non era riuscita a ottenere l’approvazione delle autorità cinesi per l’acquisizione nei tempi previsti dal contratto: la deadline era la mezzanotte del 15 agosto. Come ha spiegato il New York Times, la fusione tra le due aziende è stata approvata dagli antitrust statunitensi ed europei, ma in Cina – che esamina le operazioni di aziende che realizzano una certa quantità di ricavi sul suo territorio – il processo autorizzativo è stato estremamente lungo, fino a sforare i tempi previsti.
Tower Semiconductor possiede un ufficio a Shanghai. Intel, invece, ha realizzato in Cina ricavi per 17 miliardi di dollari nel 2022, il 27 per cento del totale.
TUTTI I PIANI DI INTEL CON TOWER
Tower Semiconductor è un’azienda piccola rispetto a Intel e non è nemmeno particolarmente avanzata dal punto di vista tecnologico, ma era comunque fondamentale per il piano di ristrutturazione del business avviato dal colosso statunitense, che non vuole più essere soltanto uno sviluppatore di microchip ma anche un loro produttore concreto, in modo da cavalcare l’attuale fase di riorganizzazione geografica delle filiere industriali critiche.
Tower realizza componenti per clienti molto importanti come Broadcom, ad esempio; acquisendo Tower, dunque, Intel si sarebbe appropriata anche della sua lista di clienti che avrebbe reso un po’ più semplice la difficile competizione con TSMC, la compagnia taiwanese più importante nel settore manifatturiero dei semiconduttori.
Stacy Rasgon, analista di Sanford C. Bernstein, ha spiegato a Bloomberg che “nel complesso, le attività di Intel nel settore delle fonderie [si chiamano così, in gergo, le fabbriche di chip, ndr] non sarebbero mai state facili nemmeno con Tower, ma senza potrebbero rivelarsi ancora più impegnative”.
LA GEOPOLITICA INFLUENZA LE DECISIONI DI BUSINESS
Che l’acquisizione potesse fallire, comunque, era nell’aria. Sia perché Intel aveva più volte posticipato le previsioni di chiusura dell’operazione – entro febbraio 2023, poi entro il primo trimestre dell’anno, poi entro il secondo -, e sia perché le tensioni politiche tra Stati Uniti e Cina – Intel è un’azienda americana, ha sede in California – sono forti, e sono forti in particolare proprio sui semiconduttori: Washington ha imposto tutta una serie di restrizioni internazionali all’esportazione di tecnologie avanzate verso Pechino, per impedirle di sviluppare la propria economia e il proprio apparato militare.
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Prima del caso Intel-Tower, l’anno scorso già la società chimica americana DuPont aveva annullato un accordo da 5,2 miliardi per l’acquisizione di Rogers Corporation (un’azienda, sempre americana, di materiali per l’elettronica) a causa del lungo processo autorizzativo in Cina.
Di conseguenza, le aziende multinazionali potrebbero sempre più trovarsi di fronte a una scelta difficile: da una parte il mantenimento delle loro operazioni nel ricco mercato cinese, dall’altra la libertà di condurre fusione e acquisizioni nel mondo. “Tali preoccupazioni”, ha scritto il New York Times, “potrebbero raffreddare ulteriormente gli investimenti stranieri in Cina, che quest’anno sono già crollati a causa delle preoccupazioni geopolitiche”.