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Intel

Chip Ue, ecco favori e vincoli per l’americana Intel

L'americana Intel ha mostrato di aver apprezzato il Chips Act della Commissione Ue. Ma il piano per i microchip potrebbe creare divisioni tra i membri dell'Unione. Ecco perché e cosa farà l'Italia

 

L’European Chips Act, il piano da 43 miliardi di euro che dovrebbe far aumentare il peso dell’Unione europea nel mercato globale dei microchip, e che è stato pubblicato ieri, è stato ben recepito da Intel.

I PIANI DI INTEL PER L’EUROPA

La società americana, tra i principali sviluppatori e produttori di semiconduttori al mondo, ha detto infatti che il documento potrebbe essere d’aiuto all’espansione della sua presenza in Europa. In programma ci sono investimenti per 95 miliardi di dollari nel Vecchio continente, e la costruzione di stabilimenti in Italia, Francia e Germania.

OBIETTIVI E CONTESTO DEL CHIPS ACT

Ad oggi i microchip vengono fabbricati principalmente in Asia (Taiwan e Corea del sud) e progettati con tecnologie sviluppate negli Stati Uniti. La quota di mercato degli americani nell’industria mondiale di questi componenti è del 47 per cento; segue l’Asia e poi, a distanza, l’Europa. La capacità manifatturiera europea – che pure dispone di aziende importanti, come ASML – vale appena l’8 per cento del totale mondiale, ma la Commissione intende portarla al 20 per cento entro il 2030.

Il Chips Act, per l’appunto, dovrebbe permettere all’Unione di recuperare terreno e installare le fasi di design e manifattura dei chip sul proprio territorio, così da rafforzare l’autonomia tecnologica e proteggersi da future crisi delle forniture che metterebbero a rischio l’economia e la sicurezza nazionali: quella attuale va avanti da oltre un anno, e pare che non si risolverà a breve.

PICCOLI CONTRO GRANDI

Il problema però – come evidenziato dagli analisti sentiti da Reuters – è che il Chips Act potrebbe finire col mettere i paesi più piccoli dell’Unione europea contro quelli più grandi, che sono in generale più attraenti per i produttori di microchip: oltre alle maggiori risorse economiche, infatti, possono esibire dei “pool” di talenti più ampi, centri di ricerca più avanzati e un contesto industriale-infrastrutturale migliore.

Considerati gli altissimi costi di realizzazione degli impianti (20 miliardi, in media) e i fondi stanziati dal piano (42 miliardi, di cui 30 pubblici e 12 provenienti da un mix pubblico-privato), i membri dell’Unione più piccoli temono insomma di finire emarginati.

COSA FANNO ITALIA, FRANCIA E GERMANIA

Le tre economie più grandi dell’Unione europea – Germania, Francia e Italia – hanno in passato già fornito aiuti di stato alla costruzione di siti di microelettronica come previsto in caso di IPCEI, gli “Importanti progetti di comune interesse europeo”, con un budget di 2 miliardi di euro.

FINANZIARE AZIENDE NON-EUROPEE

Oltre alla questione stati piccoli contro stati grandi, c’è un altro tema di confronto tra Bruxelles e i membri dell’Unione: mentre la Commissione sta lavorando sull’attirare in Europa grandi aziende straniere, come la taiwanese TSMC o l’americana Intel, alcuni stati (innanzitutto la Francia) vorrebbero piuttosto stimolare la crescita di attori locali, europei.

INTEL, L’ITALIA E NON SOLO

Lo scorso ottobre l’agenzia Reuters scrisse che il governo italiano stava preparando un’offerta a Intel per convincerla ad aprire un impianto avanzato per il confezionamento di microchip. L’investimento della società potrebbe ammontare a 4-8 miliardi di euro, che verrebbe in parte sostenuto con fondi pubblici; inoltre, l’Italia potrebbe offrire a Intel delle condizioni di favore sui costi del lavoro e dell’energia.

Intel ha intenzione di aprire in Europa anche una fabbrica per la costruzione di chip: sorgerà probabilmente in Germania, nell’hub di Dresda, ma anche la Francia si è proposta.

Nei mesi precedenti l’amministratore delegato Pat Gelsinger aveva spiegato che la società non vuole concentrare tutte le sue attività in un singolo stato europeo, ma di voler creare un sistema integrato nel continente: ovvero, appunto, fabbriche di produzione in un certo paese e impianti di packaging in un altro.

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