Benché gli esperti si affannino a ripeterci che sono due cose distinte, le ultime notizie sul raggiro di HyperVerse rischiano di danneggiare la fiducia che la gente ha nelle criptovalute e nei Bitcoin proprio nei giorni epocali in cui l’ok (controvoglia) della Sec sta finalmente consentendo di acquistarli a Wall Street come le azioni comuni o i fondi tradizionali. L’unica cosa che ha di cripto, anzi, criptico, l’affaire HyperVerse è il modo in cui è stata gestita una truffa ancora dai contorni indefiniti – Chainalysis stima l’importo trafugato in 1,3 miliardi di dollari solo nel 2022 – ai danni di migliaia e migliaia di piccoli risparmiatori.
LA MAXI TRUFFA DI HYPERVERSE
Una truffa ben poco 4.0 e hi-tech, che col passare delle ore sembra disegnata secondo il tradizionale schema Ponzi, dove l’unica cosa certa è che i responsabili sono spariti con i risparmi di chi voleva crearsi un gruzzoletto. Ma andiamo con ordine. Il nome HyperVerse ha iniziato a rimbalzare subito dopo la pandemia, quando le cripto conoscevano una seconda giovinezza. Sulle prime pareva l’ennesima declinazione di un concetto già ampiamente sviscerato, ma chi ha messo assieme il progetto ha fuso a scopi marketing la possibilità di arricchirsi investendo in valute virtuali con la narrazione di un metaverso in cui, presto o tardi, saremmo finiti tutti a vivere.
Oggi che l’idea del metaverso pare definitivamente naufragata – forse – fa sorridere. Ma non dimentichiamo che in quello stesso periodo c’era gente che correva ad acquistare appezzamenti di terra virtuale su altre piattaforme, legali e tutt’ora esistenti, il cui prezzo stava esplodendo e oggi si è sgonfiato in modo tragicomico. HyperVerse non sarà la prima e nemmeno l’ultima truffa imbastita sul Web. Ciò che l’ha distinta, però, è la sapiente narrazione. Perché per renderla credibile chi l’ha ordita non solo a un certo punto ha ingaggiato persino Chuck Norris, il Walker Texas Ranger che ha irretito milioni di casalinghe di Voghera un po’ in tutto il mondo, ma ha tratteggiato anche la figura carismatica di un Ceo magnetico e affascinante: Reece Lewis.

REECE LEWIS, IL GENIO DELL’ALTA FINANZA DAL VOLTO PULITO
A vederlo pare il classico colletto bianco americano: volto pulito, capello in ordine e bel vestito. Un Michael Gary Scott di The Office che ce l’ha fatta davvero e sa di cosa parla, così travolgente da diventare un guru, un maestro di vita. Un piccolo Steve Jobs con consigli non solo su come investire ma anche su come vivere al meglio. Del resto Lewis aveva un cv da “me cojioni”: una carriera iniziata in Goldman Sachs, quindi la sua prima startup venduta ad Adobe e infine l’approdo, fin dal 2016, nella tecnologia Blockchain come pioniere.
Il problema è che così come Michael Scott era di fatto un simulacro vuoto, riempito dalla bravura interpretativa e dalla straordinaria mimica facciale di Steve Carell, allo stesso modo Reece Lewis era la creatura di un bravo sceneggiatore e della capacità attoriale di chi lo ha interpretato. Andate a guardarvi questo video prima che sparisca come il resto della baracca.
IL CEO DI HYPERVERSE È MAI ESISTITO?
Insomma, come ha scoperto il Guardian, che ha seguito da vicino la vicenda, Reece Lewis non è mai esistito. Se le criptovalute fossero esistite già nel dopoguerra, probabilmente questa sarebbe stata una sceneggiatura con un film di Totò. Oggi magari potrebbe essere interpretata con la medesima vena comica da Edoardo Leo in compagnia di Gassman Jr. Ma non sappiamo se chi è stato truffato correrebbe al cinema a vederlo.
Adobe “non ha mai registrato l’ acquisizione di una società di proprietà di un certo Steven Reece Lewis in nessuna delle sue presentazioni pubbliche alla SEC” e “Goldman Sachs non riscontra riferimenti sul fatto che Reece Lewis abbia lavorato per l’azienda” si legge sul Guardian.
Resta il fatto che l’inchiesta del giornale britannico sottrae anche quell’ultimo alone “vincente” rimasto appeso all’immagine posticcia del Ceo dei miracoli. No, il brillante uomo d’affari che ha fatto sognare migliaia di piccoli risparmiatori non è nemmeno scappato con la cassa: è un attore ben poco famoso, dal nome che non dice niente a nessuno, Stephen Harrison, che oggi riappare in video spettinato e con la barba incolta per chiedere scusa, sostenendo di essere stato ingaggiato per una somma peraltro ridicola.
ALL’ALTRO CAPO DEL MONDO SPUNTA L’IGNARO (?) STEPHEN HARRISON
L’aspetto più mesto della vicenda, che la rende realmente degna di un film con Totò, riguarda il pagamento. L’uomo che si è spacciato per l’amministratore delegato della società di criptovalute HyperVerse ha confermato di essere stato pagato 4.000 sterline per un ruolo durato ben nove mesi, con la possibilità di tenersi l’abito con cui appariva in video.
Stephen Harrison, che difficilmente troveremo a Hollywood, vive in Thailandia, ben al riparo da ogni possibile estradizione e il suo cachet, che in valuta locale ammonta a 180mila baht, gli consentirà di vivere benino per qualche tempo. Anche perché, quando è stato avvicinato dai tizi della HyperVerse tirava avanti facendo telecronache sportive saltuariamente retribuite.
LE SCUSE DEL FINTO CEO
Lui comunque fa lo gnorri: al Guardian Australia ha dichiarato di essere rimasto “scioccato” nell’apprendere che la società lo aveva presentato con credenziali false per promuovere il programma. Si era insomma calato così tanto nella parte da pensare davvero di essere un genio della finanza virtuale e di aver messo sul serio in piedi una fantasmagorica società di criptovalute che vendeva sogni nel metaverso.
Sempre ai giornalisti che, non con poche difficoltà, sono riusciti a raggiungerlo ha dichiarato di sentirsi dispiaciuto per coloro che hanno perso denaro in relazione allo schema nel quale, ha sottolineato a più riprese, non avrebbe avuto alcun ruolo. Insomma, non sapeva nulla. E dire che quando la “sua” HyperVerse è finita game all’aria, di rumore ne ha fatto parecchio.
“Mi dispiace per queste persone”, ha detto ai cronisti che l’hanno infine pizzicato all’altro capo del mondo (tanto che la testata britannica ha messo sulle sue tracce la divisione australiana). “Perché hanno creduto a un’idea con me in prima linea e hanno creduto in quello che ho detto e Dio solo sa cosa hanno perso queste persone. E mi sento in colpa per questo. Mi dispiace profondamente per queste persone, davvero. È orribile per loro. Spero solo che ci sia una soluzione. So che è difficile recuperare i soldi, ma spero solo che ci sia un po’ di giustizia in tutto questo e che si possa arrivare in fondo a questa storia”.
CHE SUCCEDERA’ CON L’IA E I DEEPFAKE?
Alla fine l’unica cosa reale di tutta questa truffa virtuale resta questo. No, non le scuse, che difficilmente saranno sentite, ma proprio l’attore. Anzi, gli attori, considerato che sempre coi soldi dei risparmiatori i tizi di HyperVerse ingaggiarono per un video di pochi secondi pure Chuck, costato infinitamente di più di Stephen Harrison.
Nell’epoca dei deep fake e dell’IA che permettono anche a ragazzini brufolosi di creare video incredibilmente realistici sorprende e forse in qualche modo rassicura il taglio artigianale di questa mega truffa che risale appena a un paio di anni fa. Nel frattempo il mondo è nuovamente cambiato, non per il meglio, e le nuove tecnologie consentiranno a chiunque di imbastire raggiri dal taglio cinematografico ancora più credibili. E la truffa che sotto sotto non puzza più di marcio fa davvero paura.