Le restrizioni commerciali imposte dagli Stati Uniti hanno obbligato le aziende specializzate nella progettazione o nella realizzazione di semiconduttori avanzati a distaccarsi dalla Cina. Il paese, però, sta diventando ancora più importante per i produttori di microchip meno sofisticati, come quelli per il settore automobilistico: visto infatti il rallentamento delle vendite di veicoli elettrici in Europa e negli Stati Uniti e la generale fiacchezza dell’automotive, la Cina – il più grande mercato e il più grande produttore al mondo di vetture elettriche – è diventata il “principale motore della domanda” per società come NXP, Infineon e Texas Instruments, ha scritto Bloomberg.
LA CINA FA LA FORTUNA DI NXP, INFINEON E TEXAS INSTRUMENTS
Di recente l’amministratore delegato dell’olandese NXP ha messo a confronto la fiacchezza dei mercati in Europa e in America con la “crescita impressionante” dei veicoli elettrici in Cina. Similmente, la tedesca Infineon ha potuto appoggiarsi alla Cina per compensare la debolezza della domanda automobilistica in Occidente. Per la statunitense Texas Instruments, invece, le attività in Cina sono aumentate fino al 20 per cento in tutti e cinque i suoi segmenti di prodotto.
IL PROBLEMA DEI DAZI
Dipendere dalla Cina, però, può essere rischioso: sia gli Stati Uniti che l’Unione europea hanno messo dazi sulle importazioni di auto elettriche dal paese e anche i microchip di vecchia generazione (i cosiddetti legacy chip) sono stati stati colpiti dalle nuove tariffe della Casa Bianca.
IL PIANO DELLA CINA SUI LEGACY CHIP
La realizzazione dei chip per l’industria automobilistica non richiede sofisticati macchinari di chipmaking (sottoposti peraltro a controlli): per questo motivo la Cina ha intenzione di accrescere la propria capacità manifatturiera di legacy chip, in modo da emanciparsi dall’estero e capitalizzare l’aumento della domanda per i veicoli elettrici e connessi. Attualmente le aziende cinesi di microchip per auto riescono a soddisfare solo il 10 per cento della domanda interna, lasciando grandi spazi alle società estere come le già citate Infineon, NXP e Texas Instruments, ma anche per l’italo-francese STMicroelectronics e la giapponese Reneseas: per tutte queste aziende la Cina vale dal 20 al 30 per cento circa delle entrate annuali.
COSA RISCHIANO LE AZIENDE STRANIERE
Il governo cinese ha chiesto però alle case automobilistiche, come BYD e Nio, di aumentare gli acquisti di microchip da produttori locali, e la maggior parte delle nuove fabbriche di circuiti che stanno venendo costruite nel paese sono dedicate all’industria automobilistica: le aziende straniere rischiano insomma di perdere quote di mercato in futuro, con conseguenze notevoli sui conti. È forse proprio per tutelarsi da questa eventualità se i costruttori europei di chip hanno firmato degli accordi di collaborazione e fornitura con i cinesi: lo ha fatto STMicroelectronics con Geely per i dispositivi al carburo di silicio, ma anche Sanan Optoelectronics e Bosch.
IL FATTORE TEMPORALE
Lo scorso aprile – ricorda Bloomberg – il Consiglio sul commercio e la tecnologia tra l’Unione europea e gli Stati Uniti ha espresso delle preoccupazioni riguardo alla Cina per le “politiche e pratiche economiche non di mercato” che potrebbero portare a un’eccessiva dipendenza dai legacy chip.
Tuttavia, secondo l’analista Ken Hui, i tentativi cinesi per potenziare la filiera locale di questi circuiti “saranno un processo lento, dato che i produttori di chip stranieri offrono ancora qualità e affidabilità”, due fattori molto importanti nell’industria automobilistica. D’altra parte, pur non disponendo di capacità per la progettazione e la realizzazione di semiconduttori avanzati, la Cina possiede più capacità manifatturiera di microchip del resto del mondo messo insieme, quindi potrebbe anche riuscire a dominare il segmento dei componenti per auto in tempi relativamente brevi.