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Caffè

Cosa c’entra l’innovazione industriale con il trionfo del caffè

Se il caffè è diventato la terza bevanda più diffusa al mondo, il merito è dell’innovazione industriale. L’articolo di Stefano Caliciuri, direttore della rivista Sigmagazine, tratto dall’ultimo numero del quadrimestrale di Start Magazine Già l’origine del nome è controversa. Alcuni la fanno risalire alla parola araba qahwa (eccitante), altri a quella turca kahve. In realtà,…

Già l’origine del nome è controversa. Alcuni la fanno risalire alla parola araba qahwa (eccitante), altri a quella turca kahve. In realtà, è ormai opinione diffusa che derivi dalla regione etiope del Caffa, dove la pianta cresce spontaneamente. Stiamo parlando ovviamente del caffè, bevanda che ha fatto la sua apparizione in Europa a partire dal XVI secolo per merito dei mercanti veneziani che la vendevano proponendola come “vino d’Arabia”.
Dopo l’acqua e il the, è la terza bevanda più diffusa al mondo: ogni giorno ne vengono consumate 1,6 miliardi di tazze. È la Finlandia a detenere il record del consumo pro-capite, con circa mille grammi al mese. L’Italia è al dodicesimo posto con poco meno di mezzo chilogrammo al mese per abitante. Chiudono la graduatoria i portoricani che ne utilizzano soltanto 400 grammi a testa in un anno.

LA PORTA D’INGRESSO VENEZIANA

La storia del caffè in Italia ha inizio in una data e un luogo precisi: nel 1570 a Venezia, quando il padovano Prospero Alpino ne portò alcuni sacchi dall’Oriente. All’inizio la bevanda veniva venduta in farmacia, ma il costo alto del prodotto ne faceva una delizia soprattutto per i ceti più abbienti. E tuttavia questo non fu un valido motivo per fermarne il successo: in poco tempo le “botteghe del caffè” aumentarono, tanto che già nel Settecento soltanto a Venezia se ne contavano ben 230. È in questo momento che il caffè inizia a diventare la bevanda che più di tutte richiama quel senso di convivialità e di famiglia che sono tra i valori fondanti dell’italianità. Il caffè inizia ad essere l’occasione di incontro tra amici e innamorati che si davano appuntamento nelle diverse botteghe per condividere il gusto unico di questa bevanda. Bollato dalla Chiesa come “bevanda del Diavolo” per le sue proprietà eccitanti, sino agli inizi del Novecento veniva preparato alla turca, ovvero disciolto direttamente nell’acqua calda, o alla napoletana utilizzando la cuccumella, una sorta di caffettiera ante litteram.

È però la nordica Torino a dare i natali al caffè espresso sul finire dell’Ottocento grazie all’inventiva dell’imprenditore Angelo Moriondo, che ebbe l’idea di mettere a punto una macchina che preparasse “caffè istantaneo” per soddisfare in tempi rapidi una clientela sempre più esigente e frettolosa. La brevettò e la presentò all’Expo Generale di Torino del 1884, occasione in cui fu pure premiato. Moriondo però non sfruttò mai industrialmente la sua invenzione, si limitò alla costruzione artigianale di alcuni prototipi che utilizzò gelosamente nei suoi esercizi, convinto che sarebbero stati di grande richiamo pubblicitario.

DALLA PRIMA MACCHINA PER ESPRESSO ALL’EPOPEA BIALETTI

La rivoluzione arrivò il 19 novembre 1901, quando l’ingegnere milanese Luigi Bezzera brevettò prima macchina per l’espresso, un curioso marchingegno di ottone cromato, a colonna, di forma cilindrica e con una caldaia che funzionava con un fornello a gas. E, soprattutto, era dotato di una maniglia portafiltro che rendeva immediata la preparazione del caffè, con estrema soddisfazione degli avventori dei bar dell’epoca, che non a caso da quel momento vennero chiamati Caffè.

Bisogna aspettare solo pochi anni per vedere una successiva trasformazione. Il 1933 segna infatti il punto di svolta nella diffusione del caffè come bevanda domestica pronta a tutte le ore. Osservando le lavandaie fare il bucato nella lisciveuse, una vasca comune con al centro un tubo dal quale fuoriuscivano acqua calda e sapone, Alfonso Bialetti ebbe l’intuizione di applicare l’analogo principio per dare forma alla Moka. Il nome voleva essere un omaggio a Mokha, la città yemenita tra le più rinomate per la produzione del caffè, in particolare della pregiata qualità arabica. A cavallo degli Anni Trenta e Quaranta l’intera produzione delle caffettiere Bialetti era limitata a circa mille pezzi all’anno. Era lo stesso Alfonso Bialetti a proporre personalmente le caffettiere in vendita al dettaglio, girando per le fiere e rivolgendosi prevalentemente al mercato locale. E fu il figlio Renato, sopravvissuto ai campi di concentramento tedeschi, a ripensare l’intero business del marchio Moka Express.

Dopo la guerra, a partire dagli anni Cinquanta, decise di investire in modo massiccio sulla pubblicità sia a livello nazionale che internazionale. Le grandi campagne cartellonistiche e radiofoniche, però, nulla potevano davanti all’enorme impatto della televisione, soprattutto quando si ha l’astuzia di creare dal nulla un testimonial d’eccezione, divenuto poi il simbolo dell’azienda: l’omino coi baffi, celebre protagonista di innumerevoli spot del programma Carosello. Bialetti aveva ormai assunto una dimensione internazionale, confermata anche dagli oltre 300 milioni di esemplari venduti sino ad oggi. Composta da quattro elementi in alluminio, ai quali si aggiunge una guarnizione sostituibile e un manico in bachelite, il brevetto originale prevedeva che la sua forma fosse unicamente ottagonale: di fatto da novant’anni la caffettiera è sempre la stessa. Ad eccezione di una iconica rivisitazione di design firmata da Alessi, anche se in questo caso più che di intese commerciali si dovrebbe parlare di rapporti familiari: la mamma di Alberto Alessi, attuale presidente dell’omonima azienda, era la figlia di Alfonso Bialetti.

BRASILE PRIMO PRODUTTORE MONDIALE DI CAFFÈ

La pianta del caffè ha bisogno di un clima caldo e umido con temperatura compresa tra i 18 e i 22 gradi. L’ombra delle foreste pluviali e degli altopiani del Corno d’Africa hanno sempre garantito produzioni eccellenti di caffè. Con un grande limite: servono piccoli appezzamenti che devono riposare almeno un anno tra una raccolta e l’altra. Per questo oggi non deve apparire strano se il primo produttore mondiale è il Brasile (2,55 milioni di tonnellate) dove sono state create le coltivazioni intensive: enormi aree destinate alla monocoltura in grado di offrire una maggiore redditività per ettaro coltivato. Non deve stupire dunque neppure il caso del Vietnam che negli ultimi venti anni ha aumentato la produzione di circa diciotto volte, raggiungendo la seconda posizione al mondo con 1,65 milioni di tonnellate, il doppio della Colombia che occupa il terzo posto. Il proliferare delle moderne cialde usa e getta ha spinto ancora di più le multinazionali a rivolgersi alle coltivazioni intensive, soprattutto dopo l’impennata del 2012, quando la torinese Lavazza, vincendo una causa legale contro la Nestlè, ne interruppe il monopolio aprendo di fatto il mercato. Non è un caso se già nel 2014, come riportato dall’Istat, la maggioranza degli italiani aveva sostituito la caffettiera con le macchinette elettroniche a cialde o capsule.

LA RIVOLUZIONE DEL CAFFÈ MONODOSE

Anche quella del caffè monodose è una vera rivoluzione culturale che affonda le radici in Italia. Tutto ha inizio nel 1975. Éric Favre, giovane svizzero dallo spiccato spirito d’iniziativa, si fa assumere da una multinazionale del caffè per provare a carpirne i segreti. Il suo sogno era di fondare una azienda in grado di fare il caffè più buono di tutti. Nonostante la perplessità della moglie italiana Anna Maria (“Ma cosa vuoi saperne tu, svizzero, del vero caffè?”), i coniugi percorrono in lungo e in largo lo Stivale alla ricerca della migliore miscela. Sino a quando arrivano a Roma, nel celebre caffè Sant’Eustachio, a due passi dal Senato. Éric Favre scopre finalmente che cosa rende così unica la bevanda servita da Eugenio nel bar romano: il getto d’acqua bollente che passa attraverso il macinino viene pompato a scatti e non di continuo, così da ossigenare maggiormente la bevanda, rendendola profumata e creando la caratteristica schiuma. Serviranno però dieci anni prima che Helmut Maucher, allora a capo della Nestlè, dia a Éric Favre il via libera per fondare la filiale Nespresso. La scelta originaria di destinare la vendita a un pubblico specializzato e selezionato (bar, hotel, uffici) non è felice: Nespresso stenta a decollare e i vertici della Nestlè licenziano Favre, nonostante questi sia convinto che il successo sia soltanto questione di tempo. I fatti gli danno ragione: la Lavazza crede fortemente nel progetto tanto da offrirgli una partnership societaria. È l’inizio di una nuova era: la preparazione del caffè perde quel rituale di riflessione e condivisione che lo aveva contraddistinto nel tempo per seguire il ritmo della società contemporanea, sempre più veloce e frenetica.

Secondo i dati elaborati dall’Unione Italiana Food, nel 2021 gli italiani hanno consumato 5,3 kg di caffè pro capite; il caffè macinato in sacchetti resta ancora la tipologia prevalente del mercato (74%). Dal punto di vista economico, secondo il Centro Studi di Anima Assofoodtec, le macchine per caffè espresso hanno un fatturato di 500 milioni di euro, di cui 375 da ascrivere all’export, con un incremento generale del 17,6% sul 2020.

(Estratto dall’ultimo numero della rivista quadrimestrale di Start Magazine)

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