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Bitcoin? Non è una malattia infettiva (come dice Barclays)

Barclays ha paragonato la criptovaluta a un’epidemia che ha ormai raggiunto il picco. Lo sviluppatore Venturini spiega perché non è così Luca Venturini divide il suo tempo fra l’Italia e la California, dove sono nati i suoi tre figli. Ingegnere, è il massimo esperto italiano di bitcoin. Per un motivo molto semplice: una parte del…

Luca Venturini divide il suo tempo fra l’Italia e la California, dove sono nati i suoi tre figli. Ingegnere, è il massimo esperto italiano di bitcoin. Per un motivo molto semplice: una parte del codice che gira su ogni nodo bitcoin è stata scritta da lui. Dal 2012 ha abbandonato dollari ed euro e in portafoglio ha solo bitcoin. In poche parole, è un purista (gli scettici lo definirebbero un fondamentalista, un talebano insomma).

Un report di Barclays ha paragonato il bitcoin a una malattia infettiva. Se si applica il modello di diffusione dell’influenza, per esempio, la conclusione sarebbe che ormai il contagio da bitcoin ha raggiunto il picco e i prezzi sono pertanto destinati a scendere ulteriormente. Per ironia della sorte due giorni dopo la pubblicazione del report il bitcoin è salito di 1.000 dollari in meno di un’ora tornando sopra quota 8.000. Vuol dire che il modello non è valido?

Di tentativi di applicare modelli conosciuti all’ecosistema bitcoin ne sono stati fatti molti. Di solito cadono nel dimenticatoio. Ricordo quando ci fu un picco nel valore del bitcoin a 30 dollari e qualcuno pubblicò dei grafici che «dimostravano» che una certa curva di adozione di una nuova tecnologia era la stessa dell’andamento del prezzo di bitcoin e che quindi il valore aveva raggiunto il picco massimo e non poteva salire ulteriormente. Era il 2011, sette anni fa; da allora il prezzo è salito di centinaia di volte.

Quindi il bitcoin non è paragonabile all’influenza?

Se si applica il modello della diffusione delle malattie infettive all’intera popolazione del pianeta, si vede facilmente come siamo molto ma molto lontani dalla fine del contagio. Inoltre tutte le volte che si prende come riferimento della diffusione di bitcoin il valore del dollaro espresso in bitcoin, si fa un errore. Infatti se io pago l’idraulico in bitcoin, alcune metriche aumentano (c’è una transazione in più sulla rete; una persona in più usa e conosce il bitcoin; forse viene creato un nuovo wallet e probabilmente anche un nuovo indirizzo, ndr), ma il prezzo del dollaro non ne risente. Nel complesso non sembra che il rapporto di Barclays sia stato sottoposto a un processo di peer review da parte di un esponente della comunità dei bitcoiner.

Quindi non ha valore scientifico?

Quello degli studi sottoposti a peer review è lo stesso metodo usato dalla comunità scientifica. Un rapporto come questo ha la stessa valenza scientifica di un post su Facebook su come curare il raffreddore con lo zucchero o il tumore con il limone.

E come dovrebbe essere fatto un report sul bitcoin con un minimo di valore scientifico?

Una qualunque analisi sul fenomeno bitcoin non può prescindere dalla legge di Gresham: «La moneta cattiva scaccia quella buona». Chiunque preferisce spendere la moneta cattiva, sia essa euro, dollaro o altro, e tenere per sé la moneta buona, in questo caso il bitcoin. I pochi che spendono i bitcoin sono spesso costretti a farlo perché sono passati completamente alla nuova moneta e non hanno più moneta cattiva da spendere.

Anche nel report di Barclays si tende a separare la blockchain e il distributed ledger (libro mastro distribuito) dal bitcoin: i primi due sono positivi e possono essere adottati dalla finanza tradizionale e da altri settori dell’economia come l’immobiliare, il terzo invece è cattivo e destinato a morire. Ma si può davvero scindere la blockchain dal bitcoin?

Questo è un altro errore che viene commesso di frequente. Chiunque può creare una blockchain privata; è possibile farlo in pochi secondi, senza alcuna conoscenza informatica. Il problema è che per avere una riserva di valore credibile bisogna dare garanzie che questa blockchain sia veramente immutabile. La blockchain di bitcoin, con il processo di mining basato sulla proof of work, in questi dieci anni ha dimostrato di essere l’unica in grado di dare una ragionevole garanzia di immutabilità. Dopo qualche anno di blockchain private o di blockchain senza bitcoin si è passati a parlare di distributed ledger. Effettivamente la blockchain di bitcoin è un distributed ledger, ma chiunque altro può crearne uno. Che cosa rende il distributed ledger di bitcoin più interessante di altri? La non modificabilità e non reversibilità delle transazioni.

Ma secondo Barclays sono proprio queste due ultime caratteristiche a limitare la diffusione del bitcoin.

La blockchain di bitcoin non permette la reversibilità delle transazioni. Ma questo non è un difetto del bitcoin bensì uno dei suoi punti di forza. Un altro punto di forza, strettamente correlato alla non reversibilità, è la non pignorabilità. Con il bitcoin per la prima volta un’informazione digitale non è duplicabile liberamente. È impossibile spendere due volte i bitcoin ed è impossibile, se protetti in modo corretto dagli attacchi degli hacker, che un terzo se ne appropri. Quando l’ex presidente americano Barack Obama ha detto che il bitcoin permette a ognuno di andare in giro con un conto svizzero in tasca, faceva riferimento proprio a questo. Sui bitcoin nessuno potrà violare il principio di non aggressione. E non potrà farlo né con l’ordine di un giudice né con il monopolio della forza. All’aumentare dell’adozione di bitcoin gli effetti saranno visibili a tutti e gran parte delle norme dovranno adeguarsi. Dovremo tenere conto di un mezzo che permette di fatto, e non solo di diritto, di difendere i propri averi da aggressori esterni.

Report come quello di Barclays possono avere un effetto sulle quotazioni delle criptovalute?

Non hanno alcun effetto sul mercato delle criptovalute. Di rapporti come questo ne escono di continuo e non ho mai sentito alcun esperto del settore prenderli sul serio.

(articolo pubblicato su Milano Finanza)

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