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Druzhba

Tutti gli scazzi europei sul petrolio russo e su Druzhba

Ancora stallo sull'embargo europeo al petrolio russo: la Commissione propone di esentare i flussi per l'oleodotto Druzhba, ma Ungheria e Germania - per ragioni diverse - fanno saltare l'accordo. Ecco perché.

Domenica l’Unione europea non è riuscita a trovare un accordo sul divieto di importazione di petrolio dalla Russia: il paese è il maggiore fornitore del continente (vale circa il 30 per cento del totale importato), ma un embargo permetterebbe di colpire duramente le finanze del Cremlino, privandolo di una fonte di entrate fondamentale anche per il finanziamento della guerra in Ucraina. Le discussioni proseguiranno oggi e domani e si concentreranno sull’esenzione dal divieto d’acquisto per le forniture via oleodotto, importanti in particolare per quei paesi dell’Europa centrale senza sbocco sul mare.

Tuttavia, una fonte diplomatica ha detto all’agenzia Reuters che ci sono ancora “troppi dettagli da sistemare”, e che non è dunque probabile che si arrivi presto a un accordo.

COSA C’È NEL SESTO PACCHETTO DI SANZIONI

Il divieto di acquisto del petrolio russo rientrerebbe nel sesto pacchetto di sanzioni dell’Unione europea, imposte a seguito dell’invasione dell’Ucraina. Il pacchetto prevede anche l’estromissione di Sberbank (la banca statale più grande in Russia) dal sistema SWIFT per le transazioni finanziarie internazionali, la messa al bando delle emittenti russe in Unione europea e l’aggiunta di nuovi nomi nella lista di persone che non potranno entrare nel territorio dell’Unione e che vedranno congelate le loro proprietà.

CHI SI OPPONE ALL’EMBARGO SUL PETROLIO RUSSO

A opporsi all’embargo al petrolio russo è soprattutto l’Ungheria, il cui primo ministro, Viktor Orbán, è in ottimi rapporti con Mosca: il paese non ha sbocchi sul mare, e sostiene quindi che non riuscirebbe facilmente a rifornirsi altrove. Anche la Slovacchia e la Repubblica ceca, vista la stessa condizione geografica, sono su posizioni simili.

LA QUESTIONE DELL’OLEODOTTO DRUZHBA

L’Unione europea sta discutendo di mettere al bando il petrolio russo da un mese, ma senza fare progressi. Per provare a rompere lo stallo, la Commissione europea ha proposto di vietare solo le importazioni trasportate su nave: in questo modo l’Ungheria, la Slovacchia e la Repubblica ceca potrebbero continuare ad approvvigionarsi dalla Russia attraverso l’oleodotto Druzhba.

Anche noto come “Oleodotto dell’Amicizia”, il Druzhba è l’oleodotto più lungo al mondo (circa 4000 chilometri) e collega Russia, Ucraina, Bielorussia, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica ceca, Austria e Germania. Estremamente ramificato, si compone – semplificando – di due rotte principale: una settentrionale, che attraversa Polonia e Germania; e una meridionale, che passa per l’Ucraina e raggiunge Slovacchia, Ungheria e Repubblica ceca.

COSA CHIEDE L’UNGHERIA

Stando alle fonti di Reuters, l’Ungheria sarebbe d’accordo con la proposta europea. Le trattative di domenica non sono andate a buon fine, però, perché Budapest chiede a Bruxelles un finanziamento più sostanzioso per aumentare la capacità dell’oleodotto con la Croazia e per riconvertire le proprie raffinerie all’utilizzo del greggio Brent (oggi lavorano il greggio russo Urals, che ha proprietà diverse).

PARITÀ DI CONDIZIONI

Le richieste ungheresi verranno discusse stamattina. Si parlerà anche di come garantire condizioni eque a tutti i paesi membri: quelli obbligati a rispettare le sanzioni europee sul petrolio russo, infatti, vedranno crescere la spesa per le importazioni energetiche, visto l’aumento del prezzo del Brent (con tutte le eventuali ricadute economiche-industriali); di contro, i paesi esentati potranno continuare a rifornirsi dalla Russia a un prezzo più basso.

LA GERMANIA BLOCCA TUTTO?

Su la Repubblica Claudio Tito scrive che “l’accordo sull’embargo al petrolio russo […] è saltato a causa di Berlino”.

La Commissione europea pensava di esentare dalle sanzioni solo la porzione meridionale dell’oleodotto Druzhba, quella che raggiunge Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca. “Ma dinanzi a questa soluzione Germania e Polonia, i beneficiari della variante ‘settentrionale’, si sono impuntati”, spiega Tito. “Il dubbio sollevato riguardava soprattutto il fatto che si sarebbe trattato di un provvedimento costruito su misura per un paese senza alcuna impostazione generale e senza un criterio oggettivo. Un precedente non esaltante per l’Unione europea. Risultato: accordo saltato”.

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