The Metals Company, un’azienda canadese specializzata nell’estrazione mineraria dai fondali oceanici, sta cercando di accedere ai fondi federali statunitensi per finanziare le proprie attività.
L’amministratore delegato Gerard Barron ha detto ad Axios che la società ha richiesto l’assistenza di Washington per la costruzione di un impianto di lavorazione del materiale grezzo che preleverà dai fondali: si tratta di noduli (dalle dimensioni di patata, circa) contenenti nichel, cobalto, manganese e rame, tutti metalli utilizzati nelle batterie o nei cavi per la trasmissione dell’elettricità.
SOLDI E GEOPOLITICA
“L’America non possiede nessuno di quegli impianti che potrebbero lavorare i nostri noduli”, ha detto Barron ad Axios, spiegando di voler “sbloccare” una parte dei “milioni e miliardi di dollari di incentivi” che l’amministrazione di Joe Biden ha stanziato “per incoraggiare la creazione di processi di raffinazione [dei minerali critici] sul territorio degli Stati Uniti”.
L’amministratore di The Metals Company è stato attento a presentare la sua richiesta di finanziamenti sotto una prospettiva geopolitica, presentando l’investimento come un’alternativa alla Cina. Non solo, infatti, Pechino è il paese dominante nella raffinazione di nichel, cobalto, manganese e degli altri metalli critici per l’energia pulita, ma sta anche investendo a sua volta nelle tecnologie di deep sea mining. Gli Stati Uniti considerano la dipendenza dalla Cina sulle materie prime per la transizione energetica un rischio per la loro sicurezza economica e hanno per questo elaborato dei programmi di potenziamento delle filiere nazionali.
Nello specifico, la richiesta di finanziamenti di The Metals Company fa riferimento al Defense Production Act del dipartimento della Difesa, una legge risalente al periodo della Guerra fredda che Biden ha invocato nel 2022 per stimolare la produzione di minerali critici negli Stati Uniti.
IN COSA CONSISTE L’ESTRAZIONE MINERARIA DAI FONDALI OCEANICI
The Metals Company sta cercando di presentare l’estrazione mineraria oceanica come un’alternativa meno impattante sull’ambiente rispetto ai processi tradizionali, dato che la ricchezza e la diversità biologica nei fondali profondi – che però sono in buona parte sconosciuti – è inferiore che sulla terraferma.
I processi estrattivi di The Metals Company non prevedono una vera e propria trivellazione delle profondità oceaniche, bensì l’aspirazione in superficie dei noduli posizionati sul fondale. Il movimento dei robot dell’azienda e la dispersione di sedimenti rocciosi potrebbero tuttavia causare la morte degli organismi che vivono in queste zone e la perturbazione degli ecosistemi.
The Metals Company vorrebbe procedere allo sfruttamento della zona di Clarion-Clipperton, una vasta area dell’oceano Pacifico compresa tra il Messico centrale e le Hawaii che dovrebbe contenere enormi quantità di nichel, manganese, cobalto e rame.
LA QUESTIONE AUTORIZZATIVA
Al momento, comunque, The Metals Company e le altre aziende del settore sono ferme. L’estrazione mineraria dai fondali oceanici non è permessa fintantoché l’Autorità internazionale dei fondali marini, un ente intergovernativo, non avrà valutato l’impatto ambientale di questa attività e dato il suo parere.
Gli Stati Uniti non possono partecipare direttamente al voto dell’Autorità perché non hanno ratificato un trattato internazionale sulle attività marittime, ma possono comunque influenzare le decisioni dell’ente grazie alle buone relazioni diplomatiche che possiedono con alcuni paesi membri (a partire dal Canada, uno stretto alleato).
THE METALS COMPANY SI PORTA AVANTI
Intanto, The Metals Company si porta avanti. Ha stretto ad esempio un accordo con PAMCO, una società giapponese, per la raffinazione dei metalli prelevati dai fondali: i metalli estratti dai noduli potranno peraltro accedere ai crediti d’imposta per i veicoli elettrici previsti dagli Stati Uniti.
The Metals Company si è anche già accordata con l’importante sindacato automobilistico United Automobile Workers (UAW) per la neutralità sull’eventuale sindacalizzazione dei suoi lavoratori e sta spendendo grosse cifre per il lobbying a Washington: almeno 500.000 dollari dal 2021, come riporta Axios.