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Petrolio

Chi soffrirà di più per il bando del petrolio russo?

Gli Stati Uniti e l'Europa stanno discutendo il divieto delle importazioni di petrolio dalla Russia. Il danno per le casse di Mosca sarebbe altissimo, ma è possibile sostituire il suo greggio in tempi brevi? Fatti, numeri e approfondimenti

 

Domenica 6 marzo il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha fatto sapere che gli Stati Uniti e l’Europa stanno discutendo della possibilità di vietare le importazioni di petrolio dalla Russia, come ritorsione per l’invasione dell’Ucraina.

COSA SI DICE NEGLI STATI UNITI E IN EUROPA

Secondo fonti di Reuters, l’Europa, nonostante dipenda pesantemente dalle forniture di gas e greggio russo, sembra essere favorevole a una mossa di questo tipo.

Negli Stati Uniti la speaker della Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi (del Partito democratico), ha fatto sapere che ci sono discussioni in corso sul divieto di importazione di petrolio russo. In Senato è già stata presentata una legge bipartisan a proposito.

Il segretario Blinken, nel riferire a NBC delle “discussioni molto attive con i nostri partner europei” in merito alla messa al bando del greggio dalla Russia, ha sottolineato comunque la necessità di “mantenere nel contempo una fornitura globale costante di petrolio”.

ANCHE IL GIAPPONE

Stando all’agenzia di stampa giapponese Kyodo News, anche il Giappone potrebbe unirsi all’America e all’Europa nel divieto di importazione. Il Giappone è un paese molto dipendente dalle importazioni di energia dall’estero; la Russia, nello specifico, è il suo quinto maggiore fornitore di greggio.

LA PRUDENZA AMERICANA

Gli Stati Uniti, coordinandosi con gli alleati in Europa e nel mondo, hanno imposto sanzioni economiche molto dure alla Russia per l’aggressione all’Ucraina. Alcune banche russe, per esempio, sono state escluse dalla rete SWIFT e le riserve estere dalla banca centrale del paese sono state bloccate.

Almeno finora, però, Washington non ha applicato misure punitive contro il settore energetico russo, quello più importante per la sua economia: il PIL di Mosca si basa principalmente sulla vendita di idrocarburi (gas e, soprattutto, petrolio).

Tanta cautela è dovuta all’aumento dei prezzi del petrolio causato dalla crisi ucraina: il Brent (benchmark internazionale) è a circa 130 dollari al barile, mentre il WTI (il riferimento per il mercato americano) è sopra i 126 dollari. Prezzi più alti del greggio – sono ai massimi dal 2008 – implicano costi più elevati dei carburanti. E gli Stati Uniti sono di gran lunga i maggiori consumatori di benzina al mondo: guidano in media automobili grandi, tendono a percorrere lunghe distanze e i trasporti pubblici sono poco diffusi in molte zone del paese. Domenica la benzina ha raggiunto il prezzo medio di 4 dollari al gallone: è il livello più alto dal 2008, quando si toccò il massimo, e un problema politico per l’amministrazione di Joe Biden, già alle prese con un contesto di inflazione alta. Rispetto a solo una settimana, la benzina è aumentata di 40 centesimi.

QUANTO VALE IL PETROLIO RUSSO PER GLI STATI UNITI

Gli Stati Uniti sono i più grandi produttori di petrolio al mondo, ma non sono del tutto indipendenti dall’estero. Sia perché continuano a importare greggio per le loro raffinerie (principalmente dal Canada e dal Messico), sia perché non sono al riparo dalle variazioni di prezzo sui mercati mondiali. In caso di ban al petrolio russo, non è escluso che il prezzo del barile possa raggiungere i 200 dollari.

Nel 2020, stando ai dati ufficiali, gli Stati Uniti hanno acquistato petrolio dal Canada (per il 52 per cento del totale), dal Messico (11 per cento) e dalla Russia (7 per cento, a parità con l’Arabia Saudita).

L’EUROPA E IL PETROLIO DELLA RUSSIA

La Russia è il terzo maggiore produttore petrolifero al mondo, dopo gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, e il secondo maggiore esportatore, dopo Riad.

Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, circa il 60 per cento del petrolio russo si dirige verso i paesi europei membri dell’OCSE: innanzitutto la Germania (vale oltre il 30 per cento del totale importato), la Francia e l’Italia (più del 10 per cento per entrambe).

SI PUÒ SOSTITUIRE LA RUSSIA?

Sostituire i volumi di greggio che la Russia fornisce all’Europa è estremamente difficile. Il mercato petrolifero è già ristretto (la domanda, cioè, è superiore all’offerta disponibile) e gli unici due produttori di peso che potrebbero aumentare significativamente l’output, e in tempi relativamente brevi, sono l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.

L’eventuale contributo di Iran e Venezuela sarebbe minimo. E nemmeno gli Stati Uniti, nonostante il loro status di superpotenza energetica, potranno fare granché. Le società estrattive americane, che operano nei giacimenti di shale, stanno infatti facendo resistenza all’aumento della produzione: vogliono evitare di essere coinvolte, come già successo in passato, in un nuovo ciclo boom and bust (ovvero una fase di forte espansione della domanda a cui ne segue un’altra, altrettanto forte, di contrazione). Piuttosto, si stanno concentrando sulla redistribuzione dei dividendi agli azionisti.

Alla fine di febbraio c’erano 522 pozzi petroliferi attivi nei campi shale americani. Si tratta di un aumento rispetto ai livelli di fine dicembre (480), ma il numero è ancora inferiore a quello registrato prima della pandemia. Per avere una crescita effettiva dell’output di greggio, poi, ci vorranno tra i sei e i dodici mesi di tempo.

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