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Cosa farà Eni con il petrolio venezuelano dopo l’ok di Biden

Gli Stati Uniti hanno concesso a Eni e a Repsol la possibilità di trasportare petrolio venezuelano, ma solo verso l'Europa. Washington potrebbe anche allentare le sanzioni sul greggio iraniano. Tutti i dettagli

Come rivelato dall’agenzia di stampa Reuters, il dipartimento di stato degli Stati Uniti ha concesso alle società energetiche Eni e Repsol la possibilità di riprendere il trasporto del petrolio venezuelano verso l’Europa a partire dal mese prossimo. I trasferimenti erano stati interrotti due anni fa per via delle sanzioni americane contro il regime di Nicolás Maduro; la loro ripresa permette oggi a Washington di favorire il distacco dell’Europa dal greggio russo, considerato l’embargo pressoché totale concordato dai paesi dell’Unione la settimana scorsa.

VOLUMI MODESTI

Stando alle fonti di Reuters, le quantità di greggio che Eni e Repsol potranno ricevere saranno modeste, e l’impatto della decisione sui prezzi petroliferi globali – il Brent, riferimento internazionale, è sopra i 120 dollari al barile – sarà pertanto contenuto.

GLI OBIETTIVI DEGLI STATI UNITI

Oltre ad aiutare l’Europa a fare a meno della Russia, la mossa dell’amministrazione di Joe Biden punta anche a ridurre i volumi di greggio venezuelano inviati in Cina e a favorire – attraverso il leggero allentamento della pressione sanzionatoria – la ripresa dei negoziati tra il regime di Maduro e l’opposizione.

Pechino è la maggiore acquirente di greggio venezuelano, assorbendo fino al 70 per cento dei carichi petroliferi mensili di Caracas.

PETROLIO VENEZUELANO SÌ, MA A UNA CONDIZIONE

Eni e Repsol – entrambe possiedono delle joint venture con PDVSA, la compagnia petrolifera statale venezuelana – devono però sottostare a una condizione importante: il petrolio che importeranno dal Venezuela dovrà essere destinato all’Europa, e non potrà essere rivenduto in altre parti del mondo. Le transazioni tra le parti non saranno effettuate in denaro, ma seguiranno un meccanismo di scambio oil-for-debt (PDVSA utilizzerà i carichi di greggio per ripagare i propri debiti).

GLI ALTRI PERMESSI

Gli Stati Uniti hanno rilasciato permessi simili anche alla compagnia petrolifera americana Chevron, all’indiana ONGC e alla francese Maurel & Prom. Tutte queste, più Eni e Repsol, hanno interrotto gli scambi oil-for-debt con PDVSA verso la metà del 2020 per effetto della campagna di “massima pressione” avviata dall’amministrazione di Donald Trump contro il Venezuela.

L’APPROCCIO DI BIDEN AL VENEZUELA

A marzo l’amministrazione Biden ha tenuto colloqui di alto livello con il governo venezuelano, ottenendo la liberazione di due cittadini statunitensi incarcerati e la promessa della ripresa delle trattative con l’opposizione (il presidente Maduro, tuttavia, non ha ancora definito una data per il ritorno ai negoziati). Gli Stati Uniti hanno precisato che l’allentamento ulteriore delle sanzioni dipenderà dai progressi raggiunti nei colloqui governo-opposizione per il ripristino della democrazia nel paese.

Il mese scorso Washington, oltre ad aver emesso una licenza a Chevron sull’apertura di trattative per una “potenziale attività futura” in Venezuela, ha anche inviato delle lettere a Eni e Repsol, dicendo che non avrebbe avuto “nulla da obiettare” in merito a una ripresa degli scambi oil-for-debt con PDVSA.

APERTURA ALL’IRAN?

Secondo la società di trading petrolifero Vitol, gli Stati Uniti potrebbero anche accordarsi con l’Iran (un altro regime sanzionato) e permettere la commercializzazione di una parte del suo greggio, pur in mancanza di un accordo sul nucleare con il paese. La ragione è di politica interna: l’elevato valore internazionale del petrolio si sta ripercuotendo anche sui prezzi della benzina negli Stati Uniti, che hanno raggiunto livelli record (oltre i 4,8 dollari al gallone); il tema tocca moltissimo l’opinione pubblica americana, che a novembre voterà alle elezioni di metà mandato.

Il mese scorso gli Stati Uniti hanno confiscato il carico di greggio di una petroliera iraniana al largo della Grecia; pochi giorni dopo, Teheran ha bloccato due petroliere greche nel golfo Persico. La maggior parte delle esportazioni petrolifere iraniane finiscono in Cina.

Stando agli analisti, l’Iran dispone di un centinaio di milioni di barili di petrolio nelle proprie riserve, che potrebbe vendere in tempi brevi. Un accordo tra Washington e Teheran, dunque, potrebbe aumentare l’offerta di greggio sul mercato mondiale per 500mila-1 milione di barili al giorno: si tratta di una quantità, scrive Bloomberg, in grado di far abbassare il prezzo dell’idrocarburo.

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