Nella notte tra lunedì e martedì i leader dell’Unione europea hanno trovato un accordo per mettere al bando le importazioni di petrolio dalla Russia, in modo da privare il regime del presidente Vladimir Putin di una fonte di entrate cruciale anche per il finanziamento della guerra in Ucraina.
COSA PREVEDE L’EMBARGO AL PETROLIO RUSSO, IN BREVE
L’embargo – deciso dopo settimane di negoziati molto complessi – riguarda sia il greggio che i prodotti petroliferi, ma per il momento non si applica alle forniture trasportate via tubature. Questa esenzione è stata necessaria per superare l’opposizione dell’Ungheria (soprattutto), della Repubblica ceca e della Slovacchia, tutti paesi dipendenti dai flussi passanti per l’oleodotto Druzhba e privi di sbocchi sul mare, che avrebbero dunque avuto difficoltà a rifornirsi altrove.
Nonostante il compromesso, l’accordo mette comunque al bando il petrolio russo trasportato su nave, la modalità di importazione nettamente prevalente nell’Unione europea. E permette, inoltre, l’avanzamento del sesto pacchetto di sanzioni europee alla Russia, che prevede l’estromissione di altre tre banche (inclusa Sberbank, la più grande) dal sistema SWIFT per i pagamenti internazionali, nuove penalità verso individui russi (come la ex-ginnasta Alina Kabaeva, vicina a Putin) e ulteriori restrizioni ai contatti con le aziende russe.
Secondo le fonti di Bloomberg, la Commissione europea ha proposto di mettere al bando il greggio russo entro sei mesi, e i prodotti raffinati entro otto mesi.
IL COMMERCIO DI PETROLIO UE-RUSSIA
Nel 2021, stando ai dati Eurostat, il 27 per cento del petrolio greggio importato dall’Unione europea proveniva dalla Russia: è una cifra rilevante, benché la dipendenza da Mosca sia molto più alta relativamente al gas naturale (circa il 40 per cento sul totale importato a livello comunitario). Alcuni paesi membri dell’Unione sono molto vincolati alla Russia per il petrolio (come l’Ungheria, per il 65 per cento), altri meno (come l’Italia, per il 10 per cento).
Dal 24 febbraio scorso, data di inizio dell’invasione dell’Ucraina, i paesi dell’Unione europea hanno acquistato petrolio dalla Russia per quasi 30 miliardi di euro, stando ai dati del consiglio per la ricerca CREA. D’altra parte, il mercato europeo è il più importante per la Russia e fondamentale per il suo sostentamento economico, visto che vi finisce quasi la metà delle esportazioni giornaliere di greggio (circa 2,3 milioni di barili su 4,7), secondo l’Agenzia internazionale dell’energia.
EMBARGO AL 90 PER CENTO
L’embargo concordato dall’Unione europea copre il 90 per cento delle importazioni petrolifere dalla Russia. Oltre infatti a mettere al bando gli acquisti via mare, pari ai due terzi del totale, la Polonia e la Germania hanno detto che non attingeranno ai flussi passanti per la porzione settentrionale del Druzhba. L’oleodotto non verrà “bloccato” da Bruxelles per permettere a Ungheria, Cechia e Slovacchia – attraversate dalla rotta meridionale della tubatura – di continuare a rifornirsi da Mosca.
Stando ai calcoli di Bloomberg, l’impossibilità di vendere petrolio via nave all’Unione europea costerà alla Russia fino a 10 miliardi di dollari all’anno. Mosca dovrà esportare il suo greggio in Asia, dove però i prezzi sono più bassi e non permettono, di conseguenza, gli stessi profitti.
PIÙ OPZIONI PER L’UNGHERIA
Al momento, non è chiaro quanto durerà l’esenzione dei flussi via condotte dall’embargo. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che gli stati membri torneranno presto a ridiscutere della questione. Ha detto anche che la Croazia potrebbe espandere la capacità dell’oleodotto Adria per aumentare le forniture di greggio all’Ungheria, in modo da ridurre la dipendenza del paese dalla Russia.
PARITÀ DI CONDIZIONI
Benché esteso al 90 per cento, l’embargo comunque parziale al petrolio russo potrebbe creare distorsioni all’interno del mercato europeo: le raffinerie che potranno continuare a lavorare il greggio russo avranno un vantaggio competitivo sulle altre, visto il costo inferiore della materia prima. Per compensare i rischi connessi all’acquisto, date le sanzioni, il greggio russo Urals si scambia a un valore decisamente più basso del Brent, il riferimento internazionale basato sul mare del Nord: circa 93 dollari al barile contro 120.
Già a marzo, peraltro, il gruppo petrolifero ungherese MOL aveva parlato di grandi margini di profitto per le sue raffinerie visto il crescente divario di prezzo tra l’Urals e il Brent.
La questione della parità di condizioni e della concorrenza equa era stata sollevata nei giorni scorsi da diversi stati europei come i Paesi Bassi, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania e anche l’Italia. Il nostro paese non è un enorme importatore di greggio russo ma negli ultimi mesi ha potenziato gli acquisti per alimentare la raffineria di ISAB: è di proprietà della compagnia petrolifera russa Lukoil.
Several countries (🇳🇱🇧🇪🇪🇪🇱🇻🇱🇹🇮🇹) have raised concerns that this #OilEmbargo compromise will endanger 🇪🇺single market's level playing field, because oil via pipeline will become dramatically cheaper than oil via ship.
Unclear whether these concerns have been completely resolved.
— Dave Keating (@DaveKeating) May 30, 2022
Per garantire la parità di condizioni (level playing field) di cui si diceva, l’accordo sull’embargo potrebbe prevedere sia un divieto di ri-esportazione in altri paesi dell’Unione europea del greggio russo importato via oleodotto, sia un divieto di vendita dei prodotti raffinati a partire da questo.