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Pensione

Le prossime manovre anti-Putin di Biden su bond, India e Venezuela

L'amministrazione Biden vuole impedire alla Russia di ripagare i propri debiti verso i creditori americani, si sta muovendo per allontanare l'India dal Cremlino e allenterà le sanzioni sul Venezuela (l'obiettivo è il petrolio?). Tutti i dettagli.

 

Stando a Bloomberg, l’amministrazione di Joe Biden si sta preparando a impedire alla Russia di pagare i detentori americani dei suoi titoli di stato: la mossa potrebbe aumentare il rischio di default per Mosca.

LA MOSSA DEL DIPARTIMENTO DEL TESORO

L’Ufficio per il controllo degli asset stranieri del dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti dovrebbe lasciar decadere l’esenzione concessa temporaneamente alla Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina a fine febbraio, per pagare le proprie cedole ai creditori americani. L’esenzione scadrà il 25 maggio e pare, dunque, che non verrà rinnovata.

Finora la Russia è riuscita a districarsi dalle sanzioni internazionali e a effettuare tutti i pagamenti dovuti ai creditori. Non è chiaro se ci riuscirà ancora, però, una volta che gli Stati Uniti chiuderanno la loro “scappatoia”.

FAR RIPAGARE IL DEBITO ALLA RUSSIA CONVIENE O NO?

Il dipartimento del Tesoro non ha ancora preso una decisione definitiva, precisa Bloomberg. Alcuni funzionari dell’agenzia hanno del resto dichiarato in privato che permettere a Mosca di pagare il proprio debito è utile, perché contribuisce a prosciugarne le casse e a rimuovere risorse economiche che altrimenti verrebbero spese in armi e operazioni militari in Ucraina.

L’amministrazione Biden vuole però esercitare una pressione finanziaria forte sul Cremlino, e per questo avrebbe deciso di non estendere la deroga. Anche perché l’impatto finanziario dei pagamenti ai creditori è sovracompensato dalle corpose entrate che la Russia raccoglie ogni settimana attraverso l’esportazione di petrolio e gas naturale.

I PROSSIMI PAGAMENTI DI OBBLIGAZIONI STRANIERE

Per la Russia, i prossimi pagamenti del debito sono previsti il 27 maggio, su due obbligazioni estere con scadenza 2026 e 2036. La prima è un bond in dollari, ma pagabile anche in euro, sterline e franchi svizzeri; la seconda è in euro, ma può essere saldata anche in rubli per via di una clausola. La decisione dell’amministrazione Biden impedisce però agli investitori statunitensi di ricevere soldi da Mosca, qualunque sia la valuta. Se anche il Cremlino dovesse trovare una scappatoia, a fine giugno ci sarà un nuovo pagamento in dollari.

In totale, entro giugno la Russia dovrà pagare ai creditori più di 490 milioni di dollari di obbligazioni in valuta estera.

STACCARE L’INDIA DALLA RUSSIA

L’amministrazione Biden sta anche lavorando per privare la Russia di un paese che, nonostante l’aggressione all’Ucraina, non solo non l’ha condannata ma le sta pure offrendo uno sbocco per i suoi idrocarburi e lavorando a un meccanismo per proteggere il commercio dalle sanzioni: l’India. L’America, che la considera un’alleata fondamentale nella competizione con la Cina, non è contenta.

Nuova Delhi non vuole inimicarsi la Russia perché – al di là della dottrina di non-allineamento storicamente osservata in politica estera – le è utile come contrappeso regionale a Pechino e perché ha bisogno delle sue armi. L’India è il paese che ne importa di più al mondo, principalmente proprio dalla Russia. La tendenza, tuttavia, è alla diversificazione dei fornitori: secondo l’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (SIPRI), tra il 2012 e il 2016 la quota di Mosca sul totale delle armi importate da Nuova Delhi era del 69 per cento; dal 2017 al 2021 è passata al 49 per cento. Dal 2000 al 2019 il valore del commercio sulla difesa con gli Stati Uniti è passato da 200 milioni di dollari a 6,2 miliardi.

L’invasione dell’Ucraina e le cattive prestazioni dell’armamentario russo potrebbero accelerare questo processo di distacco, per quanto complicato. Per due motivi: sia perché Nuova Delhi potrebbe iniziare a pensare che l’hardware di Mosca non offra sufficienti garanzie di difesa dal Pakistan e dalla Cina; e sia perché l’industria bellica russa dovrà – ora e nei prossimi anni – concentrarsi sulla ricostituzione delle capacità nazionali, mettendo l’export in secondo piano.

Per provare a sfruttare quest’opportunità, gli Stati Uniti stanno preparando un pacchetto di aiuti militari per l’India, contenente finanziamenti fino a 500 milioni: è una cifra importante, inferiore soltanto a quelle che l’America destina a Israele e all’Egitto. Non è chiaro tuttavia se e quando la misura verrà annunciata e quali armamenti verranno inclusi. Le difficoltà maggiori riguardano le forniture di mezzi costosi come i caccia, le navi e i carrarmati.

In un ulteriore gesto di distensione, l’amministrazione Biden ha fatto intendere di non volere sanzionare l’India per l’acquisto del sistema di difesa missilistico S-400 dalla Russia (con la Turchia, che è però un membro della NATO, gli Stati Uniti hanno fatto l’opposto).

L’APERTURA DI BIDEN AL VENEZUELA

Martedì l’amministrazione Biden ha fatto sapere che allenterà alcune sanzioni economiche contro il regime venezuelano di Nicolás Maduro per favorire i negoziati tra il governo e l’opposizione. Ha specificato che procederà in questo senso su “richiesta” di Juan Guaidó, il capo dell’opposizione che gli Stati Uniti considerano il presidente legittimo del paese. L’opposizione venezuelana, tuttavia, ha precisato di non aver chiesto a Washington di rimuovere alcuna sanzione.

Il dipartimento del Tesoro ha emesso una licenza che consente alla società petrolifera americana Chevron di avviare trattative su una “potenziale attività futura” in Venezuela. A Chevron, comunque, non è ancora permesso stringere accordi e fare affari con la compagnia petrolifera statale venezuelana, la PDVSA.

A marzo alcuni funzionari dell’amministrazione Biden si sono recati in Venezuela per riunirsi con il governo Maduro e discutere della ripresa dei negoziati con l’opposizione. In quell’occasione Maduro si disse disposto ad aumentare la produzione petrolifera nazionale per compensare l’espulsione del greggio russo dal mercato e mitigare l’impennata dei prezzi. Ci sono tuttavia dei problemi tecnici che non permetteranno a Caracas – anche ammesso che le sanzioni americano sul settore venissero sollevate – di supplire alla carenza di barili russi: sui campi petroliferi venezuelani gravano anni di malagestione e scarsi investimenti; la riattivazione della produzione, dunque, sarebbe lenta e insufficiente.

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