La London Metal Exchange, la più importante borsa di scambio di contratti sui metalli, ha vietato le transazioni sull’alluminio, il rame e il nichel russi di nuova produzione. La decisione è stata presa dopo che gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno imposto sanzioni su questi metalli industriali per danneggiare le entrate economiche di Mosca.
Tuttavia, secondo Bloomberg, queste restrizioni potrebbero avere l’effetto di rafforzare sia il ruolo della Cina come principale acquirente di materie prime russe, sia il peso della borsa di Shanghai nelle transazioni internazionali sui metalli. Dopo il passo indietro della London Metal Exchange, infatti, la Shanghai Futures Exchange è l’unica grande borsa di scambio commodities al mondo ad accettare nuove spedizioni russe di alluminio, rame e nichel.
LA RUSSIA ESPORTA ENERGIA E METALLI IN CINA
Per effetto delle sanzioni occidentali per l’invasione dell’Ucraina, Mosca si è trovata costretta a riorientare le proprie esportazioni di combustibili fossili e ha trovato in Pechino una grande acquirente: nel 2023 la Russia ha superato l’Arabia Saudita come principale fornitrice di greggio della Cina; è anche diventata la seconda fornitrice di carbone e quest’anno ne diventerà probabilmente anche la maggiore fornitrice di gas naturale.
Quanto invece ai metalli, le importazioni cinesi di alluminio russo hanno toccato livelli record, al punto che l’anno scorso il mercato cinese è valso il 23 per cento delle entrate della società russa Rusal; nel 2022 ha rappresentato appena l’8 per cento.
CHE SUCCEDE DOPO LE SANZIONI AMERICANE E OCCIDENTALI?
Gli analisti pensano che le sanzioni sui metalli incentiveranno la Russia ad esportare ancora più metalli nei paesi al di fuori delle giurisdizioni statunitense e britannica.
In Cina la maggiore disponibilità di materia prima russa darà probabilmente stimolo alle attività di raffinazione: il paese è già il primo produttore al mondo di rame e alluminio raffinati, oltre che un produttore significativo di nichel grazie agli investimenti in Indonesia.
Bloomberg spiega che gli importatori cinesi hanno potuto sfruttare a loro vantaggio i buoni rapporti politici tra Pechino e Mosca per ottenere sconti sulle forniture di materie prime russe, pagando peraltro in yuan (la valuta cinese) anziché in dollari (la valuta generalmente utilizzata negli scambi internazionali): uno degli obiettivi del governo cinese è proprio l’internalizzazione dello yuan e lo spodestamento del dollaro statunitense come valuta di riserva globale.
MA L’ECONOMIA CINESE NON È IN BUONO STATO…
Ma il contesto attuale presenta delle criticità, tanto per la Russia quanto per la Cina. Mosca, infatti, si ritrova nella condizione di poter inviare in Cina maggiori quantità di metalli industriali quando l’economia cinese è in difficoltà e potrebbe quindi non essere in grado di assorbire questi volumi. Già l’anno scorso i trader cinesi di metalli hanno dovuto fare i conti con una domanda debole. D’altra parte, l’alluminio russo (per esempio) scambiato in yuan e venduto a prezzi scontati potrebbe risultare attraente per gli importatori cinesi.
L’IMPATTO DELLE SANZIONI SUI METALLI RUSSI SUI PREZZI E SULLA FED
La Russia è una potenza dei metalli. Come riportato da Finimize, il 36 per cento del nichel, il 62 per cento del rame e il 91 per cento dell’alluminio conservati nei magazzini della London Metal Exchange sono di provenienza russa. Considerato che la borsa londinese fissa i prezzi internazionali di questi metalli, le sanzioni statunitensi e britanniche sulle nuove consegne dalla Russia hanno avuto l’effetto di far crescere, lunedì, i prezzi dell’allumino del 9,4 per cento e quelli del nichel dell’8,8 per cento. Dato che da ora in poi i mercati russi raggiungeranno i mercati occidentali in quantità inferiori, i trader situati in questi paesi dovranno rivolgersi a fornitori diversi e probabilmente più costosi
Dall’inizio dell’anno i prezzi delle materie prime – metalli industriali, metalli preziosi e fonti energetiche – sono cresciuti del 15 per cento. C’entrano gli intoppi alle catene di approvvigionamento e le tensioni geopolitiche internazionali, ma anche il rafforzamento del settore manifatturiero che ha bisogno di commodities. Finimize scrive che i prezzi alti delle materie prime contribuiscono alla crescita dell’inflazione, riducendo le probabilità che la Federal Reserve – la banca centrale degli Stati Uniti – tagli i tassi di interesse.