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Prezzi Benzina

Perché i prezzi della benzina pompano tanto?

Dall'inizio del 2023 i prezzi della benzina, del gasolio e degli altri carburanti sono cresciuti notevolmente. Colpa delle accise, della speculazione o degli squilibri sul mercato? Ecco numeri e commenti degli esperti.

 

Il caro-benzina è davvero tutta colpa della speculazione?

Dal 1 gennaio, per effetto della fine dello sconto sulle accise per i carburanti (introdotto il 22 marzo scorso e tagliato a dicembre) e del ripristino delle aliquote in vigore fino al 21 marzo, si è verificato un aumento notevole dei prezzi della benzina e del gasolio rispetto a quelli di dicembre.

I PREZZI DI BENZINA, GASOLIO, GPL E METANO

Stando alle ultime elaborazioni di Quotidiano Energia, il prezzo medio praticato della benzina in modalità self-service è di 1,821 euro al litro, contro gli 1,627 euro del 29 dicembre. Il prezzo medio del gasolio (o diesel), sempre in modalità self, è di 1,879 euro al litro, contro gli 1,693 di fine dicembre.

In modalità servito, invece, il prezzo medio praticato della benzina è di 1,965 euro (1,779 euro al 29 dicembre) e quello del gasolio di 2,023 (rispetto a 1,844).

Al 2 gennaio i prezzi medi praticati del GPL (gas di petrolio liquefatti) si attestavano sui 0,793-0,804 euro al litro, mentre quelli del metano tra i 2,312 e i 2,603 euro.

I PREZZI IN AUTOSTRADA

Più recentemente, l’8 gennaio l’ANSA ha riportato valori della benzina e del gasolio ancora più alti in autostrada, rispettivamente di 2,392 e di 2,479 euro al litro in modalità servito sulla A1, nella tratta Roma-Milano.

LE CAUSE: L’EMBARGO AL PETROLIO RUSSO

Secondo Azzurra Pacces, giornalista di Staffetta Quotidiana, le cause ultime dell’aumento dei prezzi della benzina e degli altri carburanti vanno ricercate nei divieti europei all’acquisto di petrolio greggio e prodotti raffinati dalla Russia: il primo embargo è entrato in vigore il 5 dicembre scorso, mentre il secondo scatterà il 5 febbraio.

“La lunga filiera della logistica dei carburanti”, ha spiegato Pacces al Corriere della Sera, “si sta preparando al ‘corto’ di prodotto”. L’impossibilità di accedere al greggio russo Urals è “un problema per l’approvvigionamento raffinerie europee, in particolare per quelle tedesche e per quelle sul Baltico”, dice. E con l’imminente stop alle forniture di raffinati, come il gasolio, “la situazione peggiorerà ulteriormente. I rivenditori all’ingrosso prevedono problemi e si stanno portando avanti”.

– Leggi anche: Tutte le scappatoie del petrolio russo attraverso la Isab di Priolo (Lukoil)

LA SPECULAZIONE NON C’ENTRA

Il rincaro dei carburanti è stato ricondotto alla speculazione da diversi esponenti del governo di Giorgia Meloni, come il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e da quello delle Infrastrutture Matteo Salvini.

L’esperta di mercati energetici Simona Benedettini ha tuttavia spiegato al Corriere che “la crescita dei prezzi dei carburanti non ha a che fare con la speculazione, ma è essenzialmente dovuta a una condizione di eccesso di domanda causata da un rallentamento degli investimenti nella produzione dei combustibili e, più in generale, a colli di bottiglia nell’offerta di petrolio e nella raffinazione che riguardano soprattutto il gasolio”.

“È un dato comune a tutti i Paesi Ue”, aggiunge l’analista: “al netto delle imposte, la media nell’area euro dei prezzi di benzina e gasolio è salita. Poi le accise fanno il resto”.

PERCHÉ SULLE AUTOSTRADE SI PAGA DI PIÙ?

I prezzi della benzina e del gasolio sono alti soprattutto sulle autostrade perché – spiega ancora Benedettini – “i distributori sostengono un costo aggiuntivo dovuto alla corresponsione di un canone al gestore dell’autostrada. Inoltre, i distributori hanno costi del personale più elevati in quanto i punti vendita di solito non sono mai completamente sprovvisti di staff”.

Pacces fa notare poi come “le gare per aggiudicare a chi affidare i rifornimenti sono al rialzo: vince chi paga royalty più alte, che poi scarica sui prezzi”.

L’ex-manager di Eni Salvatore Carollo non esclude il fattore speculazione: “in un momento caotico”, ha detto a Repubblica, “la già disordinata distribuzione italiana può favorire condotte opportunistiche. La rete non ha grande trasparenza sui prezzi, è difficile capire dove comprare. Se qualcuno approfitta del ritorno delle accise o della raffinazione costosa per arrotondare i prezzi, si tenderà a incolpare la guerra, il governo o la crisi”.

LA DIFESA DELLA FIGISC

Bruno Bearzi, presidente nazionale della FIGISC, la federazione che rappresenta gli interessi dei gestori degli impianti di carburante, ha voluto difendere la categoria dalle accuse di speculazione. Un gestore di una stazione o di un’area di servizio, ha detto alla Stampa, “guadagna 3,5 centesimi sul self e 5 sul servito. Questi sono i margini che ha sul prezzo di listino imposto dalla compagnia”.

Sui prezzi del carburante in autostrada, ha specificato, “incidono altre voci come ad esempio il costo del personale 24 ore su 24”.

QUANTO INCIDONO LE ACCISE

Intervistato da Repubblica, Salvatore Carollo ha ricordato il ruolo delle accise nel rincaro dei carburanti. “L’Italia, si sa, ha una tassazione dei combustibili per trasporto tra le più alte in Europa”, ha detto. “È una tassa facile, che i governi usano per costituire i flussi di cassa, benché incida molto su trasporti, merci, materie prime, generi alimentari e agricoli”. Le accise, fa notare il quotidiano, sono tuttavia alte da anni.

IL PROBLEMA DELLA RAFFINAZIONE

A incidere in maniera determinante sull’attuale andamento dei prezzi, secondo Carollo, è il disaccoppiamento dei prezzi del petrolio greggio da quelli dei prodotti raffinati: mentre infatti i primi sono calati – il Brent, riferimento internazionale, si scambia sui 78,5 dollari al barile -, i valori di benzina e gasolio rimangono alti.

Questa dissociazione, spiega l’esperto, è dovuta al fatto che “il prezzo del greggio dipende solo dalle condizioni di domanda e offerta globali. E quest’inverno il clima mite, il rilascio delle scorte strategiche Usa, la frenata dell’economia cinese lo fanno scendere. Ma ciò non si riflette sui prodotti, perché la capacità di raffinazione globale cala in modo sistematico. Oggi solo l’82% dei 98 milioni di barili prodotti in un giorno è raffinato, e una domanda di circa 18 milioni non è soddisfatta”.

La carenza di combustibile si avverte soprattutto in Africa e in Asia, ma anche in Europa e negli Stati Uniti le società di raffinazione “faticano sempre più a coprire le richieste del mercato” e a soddisfare gli elevati standard ambientali richiesti dai prodotti petroliferi.

Negli Stati Uniti, primi produttori di greggio al mondo, l’industria della raffinazione sta vivendo un momento di difficoltà perché le aziende sono generalmente restie a investire in nuova capacità produttiva: il passaggio alla mobilità elettrica, uno dei cardini dei piani di transizione energetica, dovrebbe infatti causare una diminuzione notevole della domanda di combustibili fossili per i trasporti, e gli investimenti fatti oggi potrebbero dunque non generare ritorni soddisfacenti in futuro.

LA SITUAZIONE IN ITALIA

Anche il settore della raffinazione italiana sta attraversando un momento difficile. “Negli ultimi anni è un fuggi fuggi di compagnie”, ha ricordato Carollo, “ultima la Esso, che ha venduto l’impianto di Trecate e tra poco scomparirà col suo marchio storico. Poi c’è la ciliegina sulla torta del taglio dei flussi di prodotti dalla Russia, che potrebbero cessare del tutto da febbraio. In questo scenario chi raffina in Italia, che fino a pochi anni fa aveva margini quasi a zero, oggi ricava 20 o 30 dollari per barile”.

– Leggi anche: Ecco il piano del governo Meloni per la Isab (Lukoil) di Priolo

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