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Price Cap

Si può imporre un tetto al prezzo del gas? Girotondo di esperti

Cosa pensano Stagnaro, Benedettini, Giraldo, Torlizzi e Salerno Aletta sul "price cap" al gas.

Politici e analisti stanno proponendo l’imposizione di un tetto al prezzo del gas naturale (price cap) per tutelare consumi e imprese dall’aumento delle bollette energetiche. La settimana scorsa il prezzo del gas TTF – il punto di scambio virtuale di Amsterdam, nei Paesi Bassi, che funge da riferimento per il mercato europeo – è arrivato a 340 euro al megawattora, un record.

LE TRE PROPOSTE DI PRICE CAP

Sul Foglio Carlo Stagnaro (economista di orientamento liberista dell’Istituto Bruno Leoni) e Simona Benedettini (esperta di mercati energetici) hanno scritto che “la stessa espressione”, cioè price cap, “viene utilizzata per indicare cose molto diverse tra di loro. Ci sono tre distinzioni fondamentali”, spiegano: “cap al prezzo del gas oppure dell’energia elettrica; cap nazionali oppure europei; cap ai prezzi all’ingrosso oppure al dettaglio”.

IL TETTO AL PREZZO È POSSIBILE SOLO SU SCALA EUROPEA

Stagnaro e Benedettini sostengono che il tetto al prezzo del gas sia possibile solo su scala europea e non nazionale, perché in quest’ultimo caso “i paesi che si rifiutano di pagare oltre una certa soglia rischiano di rimanere a secco”, in quanto nessun fornitore venderebbe loro il combustibile. Alcuni stati membri dell’Unione, come l’Italia, propongono un tetto alle sole importazioni via gasdotto dalla Russia; altri, come la Germania e l’Austria (ma anche l’Italia pare abbia aderito alla proposta), vorrebbero invece “un limite ai prezzi che possono formarsi sul Ttf e le altre borse europee (come l’italiano Psv). L’idea di fondo è che, dietro gli attuali livelli dei prezzi, vi sia una forte componente speculativa”.

AGIRE SUI PREZZI DELL’ELETTRICITÀ?

Tra chi pensa che non sia possibile contenere i prezzi del gas, alcuni ritengono che si debba intervenire piuttosto su quelli dell’elettricità.

“Infatti”, scrivono i due, “i prezzi dell’energia elettrica all’ingrosso si formano sulla base di una regola – quella del costo marginale – secondo cui tutta l’energia consumata in un dato momento viene remunerata sulla base dell’impianto più costoso necessario in quel momento”. Il governo italiano è già intervenuto in questo senso, con il decreto Sostegni ter, che fissa un tetto ai ricavi degli operatori di impianti rinnovabili “che devono restituire al sistema la differenza tra i prezzi di mercato e un valore di riferimento giudicato sufficiente a remunerare l’investimento”.

PERCHÉ IL TOPE DI SPAGNA E PORTOGALLO NON È REPLICABILE

In realtà, Spagna e Portogallo hanno imposto dei tetti nazionali al prezzo del gas (tope al gas). Ma si tratta – spiegano Stagnaro e Benedettini – di una manovra non replicabile in Italia: Spagna e Portogallo sono poco interconnessi con le reti energetiche europee, al contrario dell’Italia; “quindi una riduzione unilaterale dei prezzi elettrici si tradurrebbe in una enorme richiesta di export, mettendo in crisi il nostro parco di generazione”.

LIMITARE I PREZZI DI VENDITA?

Stagnaro e Benedettini, infine, criticano le proposta di limitazione dei prezzi finali di vendita di gas ed elettricità perché potrebbe “generare effetti perversi: i venditori rischiano di non essere in grado di coprire i loro stessi costi. Il precedente inglese è istruttivo”, affermano: “la Gran Bretagna ha adottato un price cap pochi anni fa. I rincari degli ultimi mesi hanno fatto esplodere i bilanci degli operatori, i quali non hanno però potuto riversarli a valle: il risultato è che circa la metà ha dichiarato bancarotta”.

IL PARERE DI GIRALDO

Anche Sergio Giraldo, manager del settore energetico e collaboratore de La Verità, pensa che in Italia non sia possibile replicare il modello di price cap spagnolo. Su Startmag ha scritto infatti che “il requisito essenziale di questo meccanismo è […] il sostanziale isolamento elettrico della penisola iberica, che evita influenze sui prezzi degli altri paesi”. “Se questo sistema”, ha proseguito, “fosse applicato all’Italia, che ha interconnessioni con Grecia, Slovenia, Austria, Svizzera e Francia, considerato l’algoritmo che calcola i prezzi, nelle zone di confine risulterebbero incentivi ad esportare energia dall’Italia, vanificando il cap stesso”.

Giraldo è scettico anche sul tetto europeo ai prezzi del gas. “L’idea alla base […] è che l’Europa può costituire un monopsonio, poiché acquista circa l’80% del gas venduto dalla Russia via gasdotti. Nella teoria economica, in una situazione di monopsonio, di fronte a una applicazione di un prezzo più basso da parte del compratore, il venditore accetterebbe le nuove condizioni perché preferirebbe guadagnare un po’ meno piuttosto che non guadagnare affatto”.

L’Europa, si chiede, “è davvero nelle condizioni di mettere tutto sul piatto e fare una scommessa di questo genere? Cosa succederebbe se la Russia dicesse di no e bloccasse i flussi immediatamente? Si tratta di un paese in guerra, che potrebbe bene rispondere alla sfida in modo strategico e non su un piano strettamente economico”.

IL PARERE DI TORLIZZI

Intervistato da Tempi, Gianclaudio Torlizzi – analista dei mercati delle materie prime e fondatore di T-Commodity – ha detto che “l’unico price cap applicabile è quello in cui stia agli stati colmare il differenziale di prezzo tra quello pagato al fornitore e quello che si deciderà di far pagare al consumatore finale. Ciò implica un forte esborso per l’Europa che non si può preventivare: l’aggressione all’Ucraina da parte della Russia ha di fatto dato avvio alla seconda guerra fredda e sperare che finisca presto è un wishful thinking“.

“Il price cap e tutti gli interventi politici comprensibilmente fatti per calmierare i prezzi”, sostiene Torlizzi, “manterranno alti i consumi di energia e sostenuti i prezzi delle materie prime. Da questa cosa se ne esce non con le riforme del mercato elettrico che possono dare un sollievo ma non risolvere il quadro di fondo”.

L’analista propone piuttosto “razionamenti di gas nel breve termine, dobbiamo togliere una componente di consumo dal mercato per abbassare un po’ i prezzi, e nel medio termine adottare tutte quelle azioni che favoriscano l’aumento dei mezzi produttivi”.

LA PROPOSTA DI GUIDO SALERNO ALETTA

Su Teleborsa Guido Salerno Aletta ha criticato le regole europee sul prezzo dell’energia: “è il prezzo del mercato spot dell’energia, quello dell’ultimo metro cubo di gas venduto, che determina le bollette di milioni di consumatori”, scrive.

“Per evitare le possibili speculazioni al rialzo da parte dei fornitori di energia elettrica e di gas all’ingrosso, facendo incassare loro il ‘prezzo marginale’ anziché quello che hanno presentato al momento della loro offerta”, argomenta l’editorialista, “tutti gli acquirenti ed i consumatori pagano il ‘prezzo marginale’, che è quello più alto. È un delirio”.

La “soluzione razionale”, sostiene, “sarebbe questa: obbligare tutti i fornitori di energia elettrica e di gas, cioè le imprese che hanno contratti con la clientela al dettaglio, famiglie ed imprese, di approvvigionarsi con contratti a lungo termine, e non con le aste quotidiane, per stabilizzare i prezzi di mercato. Almeno l’80% dei consumi medi della clientela dovrebbero essere coperti con contratti a lungo termine, lasciando alle aste solo le forniture marginali di energia”.

“‘Solo quantità marginali possono essere contrattate a prezzi marginali’: questa regola sì, avrebbe senso”, conclude.

SVINCOLARSI DAL TTF?

Su Energia Benedettini e Stagnaro hanno criticato la proposta di Salvatore Carollo sullo sganciamento dell’Italia dal TTF, il punto di scambio virtuale del gas che funge da hub per l’Europa continentale: si trova ad Amsterdam, nei Paesi Bassi.

“L’idea di Carollo”, scrivono Benedettini e Stagnaro, “prende le mosse dalla credenza che i prezzi sulla borsa di Amsterdam, che mobilita modesti volumi di gas ma influenza indirettamente i contratti di lungo termine, sarebbero completamente slegati dai fondamentali” perché il prezzo del gas sul mercato statunitense è più basso di quello sul mercato europeo; di conseguenza, Carollo proponeva alle autorità italiane di imporre un tetto massimo al prezzo del gas basato sul valore dell’hub americano, l’Henry Hub.

Ma il punto – sostengono Stagnaro e Benedettini – è che “non c’è alcuna evidenza che gli importatori di gas facciano dei margini spropositati in sede di vendita” Dunque, “i prezzi a cui i consumatori acquistano il gas sono legati ai costi di importazione sostenuti dagli operatori. Se vi è rendita, essa non sta in Italia: la appropria chi il gas lo produce, non chi lo compravende”.

Il differenziale di prezzo tra il TTF europeo e l’Henry Hub americano, scrivono, “è la manifestazione economica di una separazione fisica tra i due mercati”.

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