Lunedì l’amministrazione del presidente Joe Biden ha approvato una versione ridotta di un grande progetto petrolifero di ConocoPhillips in Alaska, nell’estremo nord-ovest degli Stati Uniti e del Nordamerica.
Il progetto, chiamato Willow, vale circa 8 miliardi di dollari e sarà realizzato all’interno della Riserva petrolifera nazionale dell’Alaska, un’area ricca di idrocarburi di proprietà del governo federale americano che si estende per 93 milioni di ettari nel North Slope, una regione sulla costa dell’oceano Artico.
COSA HA DECISO L’AMMINISTRAZIONE BIDEN
Lunedì il dipartimento dell’Interno degli Stati Uniti, che gestisce la Riserva petrolifera nazionale dell’Alaska, ha approvato il progetto Willow, ma ne ha ridotto le dimensioni – insistendo molto su questo aspetto – per limitare l’impatto ambientale in un territorio estremamente rilevante dal punto di vista ecologico: gli insediamenti umani (principalmente di nativi Inupiat) nella Riserva petrolifera sono piccoli e rari, mentre abbondano i caribù, i grizzly e gli uccelli artici come la strolaga beccogiallo.
Il dipartimento ha anche fatto sapere che rimuoverà ulteriori porzioni di territorio artico dalle aree destinabili allo sfruttamento petrolifero.
UNA VERSIONE RIDOTTA
Verranno dunque realizzati tre siti di trivellazione, anziché cinque (quelli più vicini al lago Teshekpuk sono stati vietati).
La superficie che verrà ricoperta da infrastrutture sarà inoltre meno ampia di quella proposta da ConocoPhillips, che avrebbe voluto costruire decine di chilometri di strade (non ce ne sono affatto, nella Riserva petrolifera nazionale alascana), sette ponti e vari oleodotti per agevolare gli spostamenti da e verso i campi estrattivi.
COSA AVEVA FATTO L’AMMINISTRAZIONE TRUMP
Il progetto Willow nella sua versione “completa” era stato inizialmente approvato dall’amministrazione di Donald Trump, ma nel 2021 un giudice federale dell’Alaska aveva bloccato la decisione, sostenendo che la valutazione di impatto ambientale non era stata realizzata correttamente.
LE POTENZIALITÀ DEL PROGETTO WILLOW IN ALASKA
Secondo le stime, l’area interessata dal progetto Willow dovrebbe permettere la produzione di 600 milioni di barili di petrolio in trent’anni. Si tratta di una quantità superiore a quella attualmente conservata nella Riserva strategica di petrolio degli Stati Uniti, che funge da “scorta” di emergenza ma che negli scorsi anni è stata utilizzata per favorire l’abbassamento dei prezzi internazionali del greggio.
Stando a ConocoPhillips, il progetto garantirà entrate fino a 17 miliardi di dollari per il governo federale, per quello dell’Alaska e per le comunità locali dello stato, e dovrebbe permettere la creazione di 2500 posti di lavoro. Molti gruppi indigeni sono favorevoli al progetto Willow: in Alaska, e in particolare nel North Slope, le opportunità occupazionali sono scarse.
Le entrate dell’industria oil & gas valgono oltre il 65 per cento del bilancio alascano e vengono redistribuite tra la popolazione. La dipendenza economica dal settore petrolifero è dunque profonda. Se però trent’anni fa l’Alaska rappresentava un quarto della produzione statunitense di greggio, nel 2019, prima della pandemia, si fermava appena al 3 per cento: c’entra anche la transizione verso le energie a basse emissioni, che ha reso più difficile il finanziamento e ridotto la profittabilità dei progetti estrattivi di idrocarburi situati in territori complessi dal punto di vista logistico.
GLI AZIONISTI DI CONOCOPHILLIPS
ConocoPhillips è una compagnia petrolifera texana – ha sede a Houston – ed è la principale operatrice in Alaska, dove partecipa ai progetti di Kuparuk e di Prudhoe Bay, nel nord dello stato.
I suoi principali azionisti sono le società di investimento americane Vanguard Group (8,8 per cento) e BlackRock (5 per cento).
L’IMPATTO AMBIENTALE STIMATO
Nonostante il ridimensionamento del progetto, la decisione dell’amministrazione Biden è stata comunque molto contestata dagli attivisti ambientali per via del potenziale impatto delle trivellazioni sull’ecosistema alascano e sul clima.
L’Artico si sta infatti riscaldando ad una velocità doppia rispetto alla media globale, e la combustione dei 600 milioni di barili di petrolio che Willow dovrebbe immettere sul mercato potrebbe causare l’emissione in atmosfera di quasi 280 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
L’ALASKA ERA IL BIVIO DI BIDEN?
Il progetto Willow rappresentava un po’ un test per Joe Biden, stretto tra la transizione ecologica da un lato e la necessità, dall’altra, di garantire la sicurezza economica americana davanti alle crisi energetiche globali.
Se il presidente avesse autorizzato le trivellazioni in Alaska, gli ambientalisti avrebbero interpretato la decisione come un tradimento degli impegni per l’azione climatica, nonostante i piani per la riduzione delle emissioni e la grande legge sulla manifattura di tecnologie pulite. Se lo avesse respinto, invece, i dirigenti delle società petrolifere lo avrebbero accusato di ipocrisia: Biden ha passato infatti quasi tutto l’anno scorso ad attaccare il settore oil & gas per convincerlo ad aumentare la produzione di greggio, in modo da favorire il calo del prezzo dei carburanti.
La Casa Bianca ha cercato allora di non scontentare nessuna delle due parti: ha approvato Willow, mostrando all’industria che gli Stati Uniti sono ancora aperti ai grossi progetti petroliferi al di fuori dei bacini shale; ma allo stesso tempo ha ridotto le dimensioni del progetto e ha bloccato la possibilità di sfruttamento di gran parte della Riserva petrolifera nazionale dell’Alaska.
Almeno per il momento, tuttavia, né il mondo attivista né quello industriale hanno espresso soddisfazione.