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Petrolio

La mossa degli Stati Uniti sul petrolio è stata davvero un fallimento?

Dopo l'annuncio di ieri sul rilascio di barili dalla riserva strategica, i prezzi del petrolio sono aumentati invece di diminuire. La mossa degli Stati Uniti è stata un fallimento? Non proprio. Ecco perché

 

Nonostante l’annuncio, ieri, del rilascio congiunto di petrolio dalle riserve strategiche di Stati Uniti, Cina, India, Giappone, Corea del sud e Regno Unito – alcuni dei più grandi importatori al mondo -, i prezzi del greggio non sono diminuiti. Al contrario, sono aumentati.

I PREZZI DEL PETROLIO

I contratti del Brent (il riferimento internazionale) hanno guadagnato lo 0,2 per cento, arrivando a 82,4 dollari al barile. Quelli del West Texas Intermediate (il benchmark americano) sono saliti dello 0,3, fino a 78,7 dollari al barile.

PERCHÉ?

Secondo gli esperti, il motivo del rialzo dei prezzi sta nei volumi tutto sommato bassi liberati dalla coalizione guidata da Washington. Gli Stati Uniti preleveranno cinquanta milioni di barili dalle proprie scorte per immetterli sul mercato; l’India cinque milioni; il Giappone e la Corea del sud tra i quattro e i cinque; il Regno Unito un milione e mezzo; la Cina non ha anticipato nulla.

COSA PENSANO GLI ANALISTI

Richard Bronze, analista presso Energy Aspects, ha detto al New York Times che i trader si aspettavano molto di più, circa 100 milioni di barili.

Anche Satoru Yoshida di Rakuten Securities condivide questa spiegazione: “Gli investitori sono stati delusi dalle dimensioni ridotte del rilascio congiunto di petrolio da parte degli Stati Uniti e degli altri paesi”, ha dichiarato a Reuters. E ha fatto notare che l’OPEC+, il gruppo degli esportatori di greggio capeggiato da Arabia Saudita e Russia, potrebbe reagire alla mossa diminuendo ulteriormente i livelli di offerta.

Nonostante le pressioni, principalmente statunitensi, l’organizzazione si è finora rifiutata di aumentare il proprio output collettivo, mantenendo l’incremento mensile sui 400mila barili al giorno in più. L’attenzione è ora tutta sul prossimo vertice dell’OPEC+, il prossimo 2 dicembre, dove si decideranno i volumi per gennaio 2022: oltre all’iniziativa di Washington, verrà valutato anche l’eventuale impatto sulla domanda delle nuove restrizioni introdotte in Europa a seguito dell’aumento dei contagi da coronavirus.

COSA HA DETTO GOLDMAN SACHS

La banca Goldman Sachs sostiene che il rilascio dalle riserve ammonterà complessivamente a settanta-ottanta milioni di barili di petrolio: troppo poco, per fare la differenza. L’OPEC+ potrebbe decidere di frenare gli aumenti di produzione per danneggiare gli Stati Uniti, “giustificando probabilmente tale azione” come un gesto di prudenza di fronte alla nuova ondata di COVID-19: l’anno scorso la pandemia, nel suo momento più grave, aveva fatto crollare la domanda energetica e i prezzi delle fonti, greggio incluso.

COSA HA DETTO L’OPEC+

L’OPEC+, attraverso le parole del ministro dell’Energia degli Emirati Arabi Uniti, ha già anticipato che è irrealistico aspettarsi un incremento della produzione da parte del gruppo perché il contesto internazionale indicherebbe “un’eccedenza” di offerta nel primo trimestre dell’anno prossimo.

LA MOSSA AMERICANA È STATA UN FALLIMENTO?

Considerato che tra ieri e oggi i prezzi del petrolio sono aumentati invece di diminuire – era l’obiettivo dell’azione coordinata dei sei paesi -, si potrebbe pensare che la mossa degli Stati Uniti sia stata un fallimento assoluto. Al di là del suo valore sul piano politico, considerato il coordinamento raggiunto, è vero che il rilascio di petrolio dalle riserve non ha avuto un impatto determinante sugli equilibri di mercato.

Se però nei giudizi ci si limita al giorno dell’annuncio, cioè ieri, si rischia di perdere una parte importante della storia. Per avere un quadro più completo bisogna infatti ampliare l’orizzonte temporale. Innanzitutto, i barili della riserva arriveranno sui mercati verso la metà o la fine di dicembre. E poi – soprattutto – l’annuncio di mercoledì è stata la conclusione di un percorso iniziato ben prima che, tra voci e anticipazioni non confermate uscite sulle agenzie di stampa, ha fatto scendere i prezzi del greggio dai livelli record (sopra gli 85 dollari al barile) di fine ottobre.

Rispetto ai picchi raggiunti il mese scorso, insomma, oggi il mercato petrolifero è certamente più tiepido e meno tendente al rialzo. In questo senso, dunque, si può dire che la mossa diplomatica dell’amministrazione di Joe Biden ha ottenuto qualcosa.

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