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Petrolio

Perché i petrolieri americani snobbano le richieste di Biden

La Casa Bianca vuole che i petrolieri si mettano a produrre più barili, per far scendere il prezzo della benzina. Ma non è quello che il settore (e gli azionisti) vogliono. Ecco perché.

Giovedì il presidente americano Joe Biden ha annunciato il più grande rilascio di petrolio di sempre dalla riserva strategica degli Stati Uniti – 180 milioni di barili in sei mesi – per rispondere alla crisi energetica aggravata dall’invasione russa dell’Ucraina e favorire un abbassamento dei prezzi della benzina e del gasolio, che minacciano di far crescere ancora il tasso di inflazione nel paese. Dietro all’annuncio del presidente, insomma, non c’è una necessità energetica in senso stretto quanto piuttosto economica. E politica, anche, perché a novembre ci saranno le elezioni di metà mandato e gli americani hanno una cosa sola in testa: i soldi che spendono ogni volta che vanno a fare rifornimento di carburante per le loro auto.

LA RICHIESTA DI BIDEN AI PETROLIERI

Oltre al prelievo dalle scorte, Biden si è rivolto alle società petrolifere per chiedere loro di aumentare la produzione di greggio e favorire, dunque, un abbassamento dei prezzi. Nonostante gli Stati Uniti siano i maggiori produttori di petrolio al mondo, e nonostante il valore dei barili sia alto, le aziende non stanno infatti trivellando quanto potrebbero: al contrario, stanno limitando le spese e mantenendo un certo rigore di bilancio in modo da compiacere gli azionisti e distribuire loro ricchi dividendi.

COSA CHIEDE IL SETTORE OIL & GAS

L’American Petroleum Institute, un gruppo che rappresenta gli interessi delle aziende americane del settore oil & gas, ha detto che l’amministrazione Biden, piuttosto che concentrarsi su misure emergenziali come il rilascio di barili dalle riserve, dovrebbe implementare delle politiche che stimolino la produzione nazionale di idrocarburi attraverso un allentamento delle regole.

LO STATO DELL’INDUSTRIA

Per effetto delle sanzioni e delle volontà dei governi (Stati Uniti, Canada e Australia, per esempio) di distaccarsi dalla Russia dopo l’aggressione all’Ucraina, l’Agenzia internazionale dell’energia stima che circa 3 milioni di barili di petrolio russo si “perderanno” sul mercato ogni giorno per mancanza di acquirenti, che si rivolgeranno ad altri fornitori.

Non è detto che le aziende americane abbiano interesse a sfruttare il momento e a riempire quel vuoto con il loro greggio. Né che l’amministrazione Biden – oltre il presidente, anche la segretaria all’Energia ha chiesto un aumento dell’output – possa fare qualcosa per convincerli del contrario. Le società energetiche americane non rispondono infatti alla Casa Bianca, che non ha l’autorità di ordinare loro cosa fare o non fare; rispondono agli azionisti. E gli azionisti chiedono due cose: rigore di bilancio e ricchi dividendi. Significa meno spese in nuove trivellazioni e più disciplina fiscale.

I TEMPI SONO CAMBIATI

Non è sempre stato così. Come ricorda l’Economist, una decina d’anni i produttori di shale – è il petrolio non convenzionale americano, ricavato dalle rocce di scisto (shale) – reagivano immediatamente ai movimenti del prezzo del petrolio: non appena crescevano, si attivavano per estrarre barili e trarne profitto. Ogni anno dal 2011 al 2019, in media, questi produttori hanno aggiunto 1 milione di barili al giorno di output extra. Per effetto di questo modello di business un po’ disordinato, molte aziende sono fallite per i debiti accumulati e i ritorni garantiti agli azionisti si sono rivelati magri.

Oggi il motto dei petrolieri americani non è più see high price, take high price come un tempo; la razionalizzazione dell’industria ha portato all’affermazione di un nuovo mantra: capital discipline. Le imprese spendono di meno e si concentrano sulla riduzione del debito e sulla ripartizione dei dividendi. Il loro tasso di reinvestimento è crollato dal 154 per cento del 2015 al 43 per cento del 2021. I prezzi alti del greggio non hanno portato alcuno scostamento dalla linea.

Se è vero che le trivellazioni sono in calo, è anche vero che il grado di efficienza dei produttori è molto aumentato: solo nel 2019 avevano bisogno di perforare novecento pozzi per produrre 9,9 milioni di barili al giorno; nel 2022 gli basteranno seicento pozzi per 9,4 milioni di barili di output.

COSA (NON) PUÒ FARE LA CASA BIANCA

La Casa Bianca può fare ben poco per invertire questa tendenza. Prima di muoversi, intanto, le aziende dovranno consultarsi con gli investitori. E anche se volessero mettersi subito a pompare più petrolio, ci sono dei problemi logistici: c’è carenza di lavoratori e di materie prime, come l’acciaio e la sabbia (fondamentale per il processo di fratturazione idraulica delle rocce).

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