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Gas

Perché le elezioni Usa gaseranno le politiche energetiche mondiali

Le urne di novembre forse ci regaleranno un cambiamento, l’ennesimo, della politica americana e ci mostreranno cosa sarà la prima potenza mondiale nei prossimi quattro anni. L'approfondimento di Gianni Bessi

 

La necessità di ridurre le emissioni di metano è stata identificata come uno degli input che mostra il miglior potenziale per incoraggiare la transizione dal fossile verso un sistema di energia pulita.

Se il gas naturale, che grazie a Innovative Publishing abbiamo analizzato nella pubblicazione “Gas naturale. L’energia di domani”, deve essere una parte intrinseca della transizione energetica dell’Ue, come sembra avere indicato la Commissione con il documento del Green Deal, l’impatto climatico delle diverse forniture di gas dovrebbe essere un criterio chiave nelle sue politiche energetiche. Il problema del Gnl è che produce una più alta intensità di gas serra rispetto al gas che viene commercializzato a mezzo gasdotto.

L’associazione alla produzione di Gnl è significativamente superiore a quella dei progetti di gasdotto (fonte Wood-Mac Kenzie): si ritiene che la produzione di gas non convenzionale, da cui deriva il Gnl statunitense, sia la principale fonte di gas a effetto serra in generale e di emissioni di metano in particolare. Robert Howarth della Cornell University ha stimato nel 2019 che “la produzione di gas di scisto in Nord America nell’ultimo decennio potrebbe aver contribuito a più della metà di tutte le maggiori emissioni di combustibili fossili a livello globale e a circa un terzo del totale delle emissioni aumentate da tutte le fonti a livello globale nell’ultimo decennio”.

Tutti questi numeri sono significativamente più alti di quelli che si trovano all’interno dell’Europa o tra i principali esportatori di gasdotti che spediscono gas naturale verso l’Unione europea, dove l’industria ha impianti moderni e strumenti efficaci per tenere sotto controllo le emissioni.

Il complicatissimo conflitto libico, o le contestate trivellazioni che Ankara sta conducendo in zone che la Grecia considera un proprio possesso, sono indicatori dell’incertezza che potrebbe derivare ai consumatori e ai mercati dalla regione mediterranea se si dovesse puntare a quella linea di approvvigionamento di gas naturale per le crescenti necessità energetiche dell’Europa.

Le compagnie che portano gas via tubo (pipe o sealine) nell’Ue e nelle sue immediate vicinanze non sono nella lista dei maggiori emettitori di metano e sembrano pronte a ridurre ulteriormente la loro impronta di carbonio. Ha ancora senso produrre e imporre al mercato europeo gas di scisto americano a prezzi molto alti quando anche le maggiori emissioni di gas serra penalizzano il mercato del Gnl a stelle e strisce nei confronti delle forniture via tubo?

Il tutto va visto alla luce dei rapporti fra Usa ed Europa e sulle differenze delle politiche energetiche. Molto dipenderà da chi vincerà le elezioni di novembre: se il nuovo presidente deciderà di continuare nella politica di ‘dominanza energetica’ oppure svolterà verso una visione più ’ecologica’ concentrando la potenza economica e scientifica sull’obiettivo della decarbonizzazione, con il corollario inevitabile di un’economia più green. Non sarebbe la prima volta che gli Usa sorprendono il mondo concentrandosi su un obiettivo a prima vista impossibile: lo fecero con la corsa alla luna e da lì sono partire molte delle grandi innovazioni tecnologiche degli ultimi cinquant’anni. Allora il budget a disposizione della Nasa era davvero ‘monstre’: ne servirebbe uno simile per intraprendere un altro viaggio, stavolta non nello spazio ma nel futuro energetico e verso una società che possa fare a meno degli idrocarburi.

Le urne di novembre forse ci regaleranno un cambiamento, l’ennesimo, della politica americana e ci mostreranno cosa sarà la prima potenza mondiale nei prossimi quattro anni. L’Unione europea starà a guardare sperando che il vincitore sia quello che condivide il suo Green Deal: del resto ogni buon proposito oggi resta lettera morta senza una politica economica, ambientale, sociale e culturale integrata. Il nostro viaggio nell’attuale Zeitgest europeo continua…

(3. fine. Le precedenti due puntate si possono leggere qui: prima parte, seconda parte)

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