Mercoledì l’OPEC+, un’organizzazione che riunisce molti dei principali paesi esportatori di petrolio, si è messa d’accordo per ridurre la propria produzione di greggio di 2 milioni di barili al giorno: è il taglio più profondo in oltre due anni, che equivale al 2 per cento dell’output petrolifero mondiale e che giunge in prossimità della stagione invernale, quando i consumi energetici sono in genere più alti.
Il taglio dell’OPEC+ punta a far salire il prezzo del petrolio, che prima di mercoledì di scambiava intorno ai 90 dollari al barile, contro i 120 di tre mesi prima. Oggi, visti i rinnovati timori di scarsità dell’offerta rispetto alla domanda, si attesta sui 93 dollari al barile, e secondo alcune previsioni potrebbe arrivare a 100 entro dicembre (le stime precedenti all’annuncio erano ribassiste).
LA MOSSA A SORPRESA DELL’ARABIA SAUDITA
Un giorno dopo l’accordo sui tagli, l’Arabia Saudita – che dell’OPEC+ è la guida, assieme alla Russia – ha comunicato un abbassamento dei prezzi del suo greggio destinato nell’Europa nordoccidentale e nel Mediterraneo; di contro, le qualità di greggio vendute in Asia, suo mercato principale, mantengono un prezzo superiore alla media regionale.
Non è una novità assoluta: aveva fatto lo stesso, per l’Europa, anche a settembre. Ma è comunque una sorpresa, perché ci si aspettava che Riad avrebbe immediatamente provveduto a mettere pressione sui consumatori dopo il taglio dell’OPEC+. Va ricordato che il paese vende il suo petrolio soprattutto tramite contratti a lungo termine – e non di consegna per il mese successivo, dunque – in Asia, e nello specifico a Cina, Giappone, Corea del sud e India.
LE POSIZIONI DI STATI UNITI E RUSSIA
Gli Stati Uniti, contrari all’innalzamento dei prezzi del petrolio per ragioni economiche ed elettorali, hanno criticato i tagli dell’OPEC+, arrivando ad accusare l’organizzazione di essersi schierata con la Russia: Mosca – l’altra leader del gruppo, assieme a Riad – dovrebbe infatti trarre dei benefici dal rincaro del greggio, essendo dipendente proprio dai ricavi delle esportazioni petrolifere. Ricavi che gli Stati Uniti, l’Unione europea e il resto del G7 vorrebbero contenere attraverso un price cap, cioè un tetto ai prezzi, il cui valore però non è ancora stato fissato.
Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, le esportazioni di petrolio russo all’Europa sono diminuite, mentre sono aumentate molto quelle all’India e alla Cina: bisogna ricordare, tuttavia, che i barili russi vengono venduti ai due paesi con un forte sconto rispetto al benchmark internazionale.
IL VERO OBIETTIVO DELL’OPEC+
Il taglio dell’OPEC+, dunque, favorisce gli interessi di Mosca e danneggia quelli di Washington, ma non è il frutto di decisioni politiche. Quanto, piuttosto, di valutazioni di mercato. Raad Alkadiri, analista energetico presso Eurasia Group, ha spiegato a Foreign Policy che l’organizzazione “sta valutando il sentimento del mercato, i timori di un’imminente recessione e le conseguenze che questa avrà sulla domanda, e ha deciso di anticipare la curva”. Si tratta, dunque, di una “mossa proattiva per fermare un ulteriore calo dei prezzi”.
In altre parole, gli esportatori dell’OPEC+ si stanno preparando per affrontare un’eventuale recessione economica, dovuta all’inflazione alta, che farebbe crollare sia la domanda che il valore del greggio. Facendone salire i prezzi ora, in anticipo, potranno aumentare gli introiti delle vendite prima che le prospettive economiche peggiorino.
Benché il taglio dell’OPEC+ assomigli indubbiamente a uno “schiaffo in faccia” dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti – membri dell’organizzazione ma anche importanti partner mediorientali degli Stati Uniti – all’amministrazione di Joe Biden, la decisione del gruppo non è finalizzata a colpire o punire la Casa Bianca. Come ha scritto il New York Times, “l’OPEC Plus agisce nei propri interessi personali”, ovvero “sostenere il prezzo [del petrolio, ndr] al barile”.
I TAGLI, QUELLI VERI
Nonostante l’impegno a ridurre l’output di 2 milione di barili al giorno, la riduzione effettiva sul mercato rispetto ai livelli attuali sarà inferiore – forse di 1 milione di barili, o anche di 800mila – perché una buona parte dei membri dell’OPEC+ sta già producendo meno delle quote stabilite alle riunioni precedenti: colpa della mancanza di investimenti nell’industria oil & gas. Vale anche per la Russia.
A farsi carico dei nuovi tagli saranno, dunque, l’Arabia Saudita (che aveva aumentato il proprio output a luglio e ad agosto) e gli Emirati Arabi Uniti, penalizzandosi per tutti gli altri.