Northvolt, la startup svedese considerata la grande speranza dell’Europa sulle batterie, ha chiesto l’amministrazione straordinaria negli Stati Uniti appellandosi al Chapter 11, la norma fallimentare che permette alle aziende – anche a quelle non americane ma attive nel paese – di concordare un piano di risanamento. Northvolt ha debiti per 5,8 miliardi di dollari e 30 milioni di liquidità, una somma in grado di garantire il proseguimento delle operazioni per appena una settimana.
A detta della società, per la ristrutturazione c’è bisogno di nuovi finanziamenti da 1-1,2 miliardi di dollari. Northvolt deve restituire 313 milioni alla Banca europea per gli investimenti (Bei).
LE DIMISSIONI DEL CEO
L’amministratore delegato e co-fondatore di Northvolt, Peter Carlsson (un ex-dirigente di Tesla), si è dimesso: ha riconosciuto che la sua startup ha commesso degli errori, ma ha invitato le autorità europee a non fare marcia indietro sulla mobilità elettrica, nonostante le difficoltà con le vendite, e a non abbandonare i piani per la creazione di un campione regionale delle batterie capace di rivaleggiare con le grandi società asiatiche.
Quel campione – così si credeva, o forse si sperava – sarebbe dovuto essere proprio Northvolt, che nel dicembre 2021 annunciò l’assemblaggio della sua prima cella di batterie nella fabbrica di Skelleftea, nel nord della Svezia: per la prima volta, un’azienda europea aveva progettato e prodotto una batteria sul territorio europeo.
Northvolt, in teoria, aveva tutto il necessario per farcela: tanti finanziamenti, un ricco portafoglio di ordini (da 50 miliardi di dollari) e un forte sostegno mediatico. Ma non è bastato, e la grande promessa d’Europa è finita in bancarotta. Cos’è andato storto?
L’IDEA DI NORTHVOLT
Il settore globale delle batterie per le automobili elettriche – il singolo componente più importante di questi veicoli, che incide per circa il 40 per cento sul prezzo finale – è dominato dai grandi gruppi asiatici, soprattutto cinesi come CATL e BYD, ma anche sudcoreani come LG Energy Solution e SK On: messe insieme, queste società controllano all’incirca il 70 per cento del mercato.
L’idea di Northvolt era di competere con questi colossi sfruttando la grande disponibilità di energia idroelettrica del nord della Svezia per produrre batterie da vendere alle case automobilistiche occidentali, che hanno necessità di abbattere le emissioni delle loro filiere e di ridurre la dipendenza dalle tecnologie cinesi.
L’ASCESA
Northvolt è riuscita ad attrarre finanziamenti privati e pubblici per oltre 10 miliardi di dollari: i suoi maggiori investitori sono il gruppo automobilistico tedesco Volkswagen, con una quota del 21 per cento, e la banca d’affari statunitense Goldman Sachs, con il 19 per cento.
Nel 2020 la startup firmò un contratto da 2 miliardi di euro con BMW, al quale seguì uno con Volkswagen dal valore di 14 miliardi, più le varie collaborazioni con Scania, Volvo e con la compagnia energetica portoghese Galp. Nel 2023 – come ricorda Reuters – si parlò anche di una possibile quotazione in borsa e di una valutazione superiore a 20 miliardi di dollari.
Negli anni Northvolt ha raccolto finanziamenti miliardari per la costruzione di impianti in Nordeuropa e in Nordamerica. Lo scorso gennaio, ad esempio, il governo svedese emise una garanzia di credito da 1,5 miliardi per l’espansione della fabbrica di Skelleftea (l’erogazione dei fondi è stata sospesa); nello stesso mese, la Commissione europea approvò un sussidio pubblico da 902 milioni fornito dalla Germania per la costruzione di una gigafactory in territorio tedesco.
… E IL DECLINO
Poi le cose iniziarono – almeno pubblicamente – ad andare male. BMW cancellò il contratto firmato quattro anni prima per via dell’incapacità di Northvolt di fornire per tempo i volumi concordati. A luglio la startup comunicò l’avvio di una revisione strategica che la portò, qualche mese dopo, ad annunciare massicci licenziamenti, la chiusura di siti, il posticipo delle fabbriche pianificate e la sospensione della produzione di materiali per le batterie. Northvolt, insomma, voleva ridimensionarsi non soltanto nel personale ma anche nell’ambizione: anziché puntare all’autosufficienza nella filiera delle batterie, si sarebbe concentrata solo sulla manifattura di celle.
Il governo della Svezia ha detto che non provvederà al salvataggio di Northvolt né entrerà nel capitale.
LE CAUSE DEL FALLIMENTO
Le cause della crisi di Northvolt sono tante. A livello generale, esiste una difficoltà oggettiva nell’emergere in un settore già dominato dai cinesi e nel cercare contemporaneamente di sviluppare l’economia di scala e di fare innovazione; il tutto, peraltro, senza poter contare su una filiera mineraria propria.
Pare che il problema principale di Northvolt, quello che ha portato BMW a cancellare il contratto, sia stato l’incapacità di aumentare velocemente la produzione di batterie, anche a causa delle complessità tecniche: l’anno scorso l’output della fabbrica di Skelleftea, quella principale, non ha rappresentato nemmeno l’1 per cento della sua capacità teorica. Se una fabbrica non è in grado di produrre su vasta scala, le perdite sono ingenti: e infatti nel 2023 le perdite nette della società sono ammontate a 1,2 miliardi di dollari.
Alle difficoltà operative si sommano – come ha raccontato il Financial Times – una serie di altre problematiche. A cominciare dalla posizione geografica della fabbrica di Skelleftea: non è facile attirare talenti verso una località remota nel nord della Svezia. Sembra inoltre che l’utilizzo di macchinari cinesi e sudcoreani si sia rivelato controproducente: non per una questione di prestazioni, ma perché questi apparecchi richiedono una manutenzione costante e pare che i dipendenti della startup abbiano avuto difficoltà a comunicare con l’assistenza tecnica asiatica.
E poi ci sono i problemi di sicurezza. Un anno fa un lavoratore è morto a seguito di un’esplosione nella fabbrica di Skelleftea; a dicembre 2023 un operaio edile è morto e un altro è rimasto ferito durante dei lavori di espansione dello stabilimento. All’inizio di quest’anno tre dipendenti di Northvolt sono stati ritrovati morti – non sul luogo di lavoro – e le motivazioni non sono ancora note.
Il Financial Times parla inoltre di “spese inutili e una diffusa cattiva gestione” della società.
QUANTO CI RIMETTERÀ GOLDMAN SACHS?
Entro la fine dell’anno i fondi gestiti da Goldman Sachs Asset Management procederanno a svalutare interamente la loro esposizione a Northvolt, che ammonta a 896 milioni di dollari.
In un comunicato, la banca ha dichiarato che, pur essendo “delusa” dal risultato di Northvolt, “si è trattato di un investimento di minoranza attraverso fondi altamente diversificati. I nostri portafogli hanno limiti di concentrazione per mitigare i rischi”.