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Lukoil

C’è un caso Lukoil in Italia?

La compagnia petrolifera russa Lukoil è proprietaria di Isab, una società di raffinazione e gassificazione molto importante per l'Italia e per la Sicilia. Tutti i dettagli e i rischi per il paese di un blocco del greggio russo.

 

Lukoil, la seconda compagnia petrolifera più grande della Russia, è proprietaria di ISAB (Industria Siciliana Asfalti e Bitumi), una società che possiede impianti di raffinazione, gassificazione e cogenerazione di energia elettrica a Priolo Gargallo, in Sicilia.

QUANTO CONTA ISAB PER L’ITALIA

Oltre a essere inserito in un importante polo petrolchimico, ISAB è rilevantissima sia a livello regionale che nazionale: come riporta oggi Il Sole 24 Ore, la società vale il 20 per cento della capacità di raffinazione italiana e soddisfa il 20 per cento della domanda elettrica siciliana.

L’impianto di gassificazione a ciclo combinato ha una capacità di 549 megawatt.

CHI CONTROLLA LUKOIL E ISAB

Lukoil non è formalmente un’azienda statale, a differenza di Gazprom, il colosso del gas controllato dal governo russo.

L’amministratore delegato di Lukoil, Vagit Alekperov, è però molto vicino al Cremlino: il suo peso politico è confermato dalla presenza a tanti vertici internazionali, incluse le riunioni dell’OPEC, il gruppo che riunisce alcuni dei principali paesi produttori di greggio. La Russia, assieme all’Arabia Saudita, guida la versione estesa del cartello, chiamata OPEC+.

Dal 2014 il direttore generale di ISAB è Oleg Durov, già dirigente di Lukoil.

ISAB E IL GREGGIO RUSSO

Claudio Spinaci, presidente di UNEM (Unione energie per la mobilità), ha spiegato al Sole 24 Ore che, di norma, ISAB acquistava greggio dalla Russia per meno del 20 per cento del suo fabbisogno. Oggi, però, “è costretta ad acquistarne la quasi totalità per le difficoltà che sta incontrando con gli istituti finanziari sulle linee di credito e su altri strumenti finanziari, nonostante non sia destinataria di misure sanzionatorie”.

Spinaci sostiene che la situazione per la società potrebbe “diventare insostenibile” in assenza di un intervento del governo. La Commissione europea sta valutando il divieto di importazione di petrolio dalla Russia come ritorsione all’invasione dell’Ucraina: la mossa mira ad aumentare la pressione sull’economia russa, colpendo la sua fonte di entrate più importante, e a facilitare le trattative tra il Cremlino e l’Ucraina per il cessate-il-fuoco.

QUANTO VALE IL PETROLIO RUSSO PER L’EUROPA

La Russia è il terzo maggiore produttore petrolifero al mondo, dopo gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, e il secondo maggiore esportatore, dopo Riad. Il petrolio russo vale circa il 30 per cento del totale importato dall’Unione europea: alcuni stati membri ne sono particolarmente dipendenti (come la Germania, per oltre il 30 per cento), altri meno (come l’Italia, intorno al 10 per cento).

Sostituire i volumi di greggio che la Russia fornisce all’Europa sarebbe però piuttosto difficile, perché il mercato globale si trova già in una condizione di ristrettezza: la disponibilità di barili, cioè, è limitata potrebbe non bastare a soddisfarne la domanda internazionale, anche perché sono diversi i paesi (come gli Stati Uniti e il Regno Unito) che hanno già annunciato un divieto di importazione del petrolio russo.

L’ITALIA PUÒ FARE A MENO DEL PETROLIO RUSSO?

Spinaci pensa che l’Italia potrebbe fare a meno del petrolio russo, pur con qualche difficoltà e a un costo maggiore, che peserebbe sul comparto industriale. Il maggiore fornitore italiano di greggio è l’Azerbaigian, con una quota del 23 per cento: quella russa, come detto, è del 10 per cento, pari a 5 milioni di tonnellate.

L’Italia ha lavorato alla diversificazione dei fornitori: attualmente importa settantadue tipi diversi di greggio da ventidue paesi; negli anni Settanta comprava venticinque-trenta varietà di petrolio.

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