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Kazakistan

Non solo gas e petrolio. Ecco perché il Kazakistan fa gola a Occidente, Russia e Cina

Il punto di Marco Dell'Aguzzo

 

Le grandi proteste in Kazakistan, scoppiate per l’aumento dei prezzi del GPL dall’inizio dell’anno ma sintomo di una rabbia popolare più ampia, non riguardano solo il Kazakistan.

IL RUOLO DELLA RUSSIA

Innanzitutto perché la Russia, che confina con il paese ed è alleata del regime del presidente-dittatore Kassym-Jomart Tokayev, vi ha inviato truppe per aiutare il governo a reprimere le manifestazioni. L’Asia centrale è una regione storicamente sotto l’influenza di Mosca – il Kazakistan era parte dell’Unione sovietica -, che in questo momento è preoccupata: teme cioè che l’instabilità kazaka possa espandersi e “contagiare” anche la popolazione russa, stimolando il dissenso verso il presidente Vladimir Putin e il suo governo autoritario.

IL RUOLO DELLA CINA

Confinante con il Kazakistan è anche la Cina, che è retta da un sistema a partito unico e – similmente alla Russia – non gradisce instabilità intorno al proprio territorio.

Come scritto su Twitter da Giulia Pompili, giornalista del Foglio esperta di Asia, Pechino è politicamente vicina a Nursultan Nazarbaev (è stato presidente del Kazakistan dal 1990 al 2019 ed è ancora molto influente) e importa gas kazako: il 47 per cento del gas del Kazakistan viene venduto alla Cina.

L’ANALISI GEOPOLITICA

“Il Kazakistan – ha scritto sul quotidiano Domani Mara Morini, Associate Professor in Politics of Eastern Europe all’università di Genova ed ssperta di politica russa – fa parte dell’Unione economica euroasiatica, dell’Organizzazione per il trattato di sicurezza collettiva, è parte integrante dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai e ha un ruolo centrale nella Nuova Via della Seta. In secondo luogo, la Russia condivide con il Kazakistan circa 7000 chilometri di confine e la regione settentrionale è marcatamente russofona, in un paese che, tuttavia, è un melting pot di etnie diverse. Mosca e Pechino, già dal disimpegno americano in Afghanistan, hanno affermato quanto sia importante che la zona non sia luogo di scontro e di instabilità politica. È plausibile, pertanto, che la Cina e la Russia faranno il possibile per risolvere la crisi ed evitare un cambiamento di regime dal futuro incerto. Il Kazakistan di Nazarbaev ha, comunque, sempre avuto buoni rapporti con gli USA che dal 2004 al 2019 ha venduto 43 milioni di dollari di armi. Nel paese non è diffusa una narrazione antioccidentale e dal 2003 l’esercito kazako ha svolto esercitazioni congiunte con la NATO. Non si può escludere, però, che ci siano penetrazioni occidentali, volte a destabilizzare il paese sfruttando anche le tensioni tra le diverse comunità etniche locali”.

LE QUESTIONI ECONOMICHE

“Alla recessione economica, dovuta anche al calo del 90 per cento delle esportazioni verso la Cina – ha aggiunto Morini – si affianca anche una crisi provocata dai bitcoin: nel 2021 circa 90 mila società di criptovalute si sono trasferite dalla Cina, determinando l’aumento della quantità di energia elettrica necessaria di algoritmi per “produrre” i bitcoin. Queste considerazioni dimostrano quanto il Kazakistan costituisca il crocevia di interessi per numerosi paesi; non per ultima la Turchia di Recep Erdogan. Ma c’è un ultimo aspetto, non meno rilevante che riguarda soprattutto la Russia di Putin: cosa insegna la successione del potere nei regimi personalistici”.

IL KAZAKISTAN E L’URANIO

Le proteste in Kazakistan stanno avendo ripercussioni non soltanto regionali, ma anche globali. Il paese è il più grande produttore di uranio al mondo, oltre che un importante fornitore di altre materie prime (petrolio, gas naturale, zinco). Più del 40 per cento dell’uranio disponibile sui mercati globali arriva da qui.

L’uranio è il combustibile principale dei reattori nucleari. Mercoledì, a seguito delle notizie sulle proteste in Kazakistan, i suoi prezzi sono cresciuti di quasi l’8 per cento, arrivando a 42,25 dollari a libbra (0,4 chili). Il giorno prima si vendeva a 42 dollari, stando ai dati di UxC riportati da Bloomberg.

Se le proteste dovessero causare un crollo della produzione kazaka di uranio, gli altri fornitori del metallo – soprattutto aziende australiane e nordamericane, come la Cameco – potrebbero beneficiarne.

PREZZI IN CRESCITA

I prezzi dell’uranio stanno peraltro già attraversando una fase di crescita: sia perché l’energia nucleare, non rilasciando gas serra, potrebbe avere un ruolo nella transizione ecologica (la Commissione europea vorrebbe considerarla “sostenibile”); sia perché una singola società di investimento canadese ne sta acquistando da mesi in grandi quantità.

CRISI DELL’URANIO IN VISTA?

Anche se i prezzi stanno salendo e si teme un calo delle forniture kazake, non siamo probabilmente davanti a una nuova crisi energetica: non esiste un rischio immediato di carenza di uranio perché le centrali nucleari di solito ne accumulano scorte numerose.

Le operazioni minerarie in Kazakistan, inoltre, stanno proseguendo, almeno in parte. I timori hanno causato un calo del 10 per cento delle azioni di Kazatomprom, la più grande compagnia di estrazione dell’uranio del paese. Ma un altro importante operatore del settore, la Katco (joint venture tra Kazatomprom e la francese Orano), ha specificato di non aver sospeso le attività.

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