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Kazakistan

Cosa sta succedendo in Kazakistan

In Kazakistan il presidente ha dichiarato lo stato di emergenza a seguito delle proteste contro i rincari del Gpl. Fatti, commenti e analisi

 

Mercoledì il Kazakistan ha dichiarato lo stato d’emergenza a seguito delle proteste che vanno avanti da giorni contro l’aumento dei prezzi del carburante: decine di migliaia di manifestanti hanno assaltato diversi edifici governativi in varie città e dato loro fuoco; le forze di sicurezza hanno utilizzato granate stordenti e gas lacrimogeni.

Lo stato d’emergenza introduce restrizioni agli spostamenti e un coprifuoco (dalle 11 di sera alle 7 di mattina), oltre a vietare i raduni di massa. Le connessioni a Internet sono state bloccate.

Il presidente Kassym-Jomart Tokayev, in carica da marzo 2019, ha accettato oggi le dimissioni dell’esecutivo e ha promesso che risponderà con durezza alle proteste, riporta l’agenzia France-Press. Torkayev è il successore di Nursultan Nazarbaev, che ha governato il paese per quasi trent’anni e ancora oggi mantiene una grande influenza.

PERCHÉ È IMPORTANTE

La notizia è rilevante perché le manifestazioni in Kazakistan sono rare. Il paese è sottoposto a un regime autoritario e repressivo (una dittatura mascherata da repubblica presidenziale) che ha spesso puntato a trasmettere all’estero un’immagine di stabilità con l’obiettivo di attrarre investimenti stranieri nel settore estrattivo.

Il Kazakistan – stretto alleato della Russia, oltre ad esservi confinante – è ricco di materie prime come petrolio, gas, zinco e uranio.

GPL, POVERTÀ, LIBERTÀ: LE CAUSE DELLE PROTESTE IN KAZAKISTAN

Le proteste sono scoppiate dopo la rimozione, dal 1 gennaio scorso, del tetto massimo ai prezzi del gas di petrolio liquefatto (GPL). Di conseguenza, il costo del combustibile è più che raddoppiato, accendendo la rabbia della popolazione: molti kazaki avevano installato impianti GPL sulle loro automobili proprio per la maggiore economicità di questo carburante.

Le proteste – spiega il Washington Post – sono iniziate nella regione di Mangistau, nel Kazakistan occidentale, dove le condizioni di vita sono peggiori nonostante l’abbondanza di risorse petrolifere. In queste regioni il 70-90 per cento dei veicoli sono alimentati a propano, il costituente principale del GPL.

Secondo il governo, la regolamentazione del prezzo del GPL stava danneggiando i produttori energetici e la liberalizzazione era pertanto necessaria. A seguito delle proteste, tuttavia, il presidente Tokayev ha ordinato la reintroduzione del tetto ai prezzi sul GPL e l’estensione della misura ad altri carburanti (benzina e gasolio) e beni di consumo.

La situazione economica del Kazakistan è complicata anche dall’inflazione: alla fine del 2021 il tasso su base annua era del 9 per cento, il livello più alto dagli ultimi cinque anni. La banca centrale ha alzato i tassi di interesse al 9,75 per cento.

Secondo gli analisti, le proteste sarebbero il segnale anche di un diffuso malcontento popolare nei confronti del regime e la voglia di maggiori libertà. La rabbia è rivolta verso le élite politiche-economiche che concentrano nelle loro mani le ricchezze del paese, mentre il resto della popolazione – circa 19 milioni di persone – possiede poco.

C’ENTRA LA RUSSIA CON I RINCARI DEL GPL?

Davide Cancarini, esperto di Asia centrale, ha spiegato su Twitter che “la situazione in Kazakhstan è slegata dalla politica del gas di Putin”: la Russia ha limitato le forniture verso l’Europa con l’obiettivo di esercitare pressione su Bruxelles e velocizzare le procedure autorizzative del Nord Stream 2, il gasdotto con la Germania.

I rincari del Gpl in Kazakistan, spiega Cancarini, “sono avvenuti per ragioni pressoché totalmente interne. E, fin da subito, alle rivendicazioni economiche si sono associate quelle politiche”.

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