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Russia Turchia

Il caos Libia fra energia e sicurezza. Analisi e commento

La nuova crisi in Libia. Le divisioni fra Stati. Il dossier petrolio e gas. E il ruolo auspicabile dell'Italia. L'approfondimento di Michelangelo Celozzi, coordinatore di TEN (Trans Med Engineering Network)

L’intervento della Turchia ha provocato una recrudescenza della crisi libica, che vede anche un ritorno alla mobilitazione nel contesto regionale del cosiddetto “islam politico”, ispirato alla Fratellanza Musulmana.

Il Partito di Erdogan (Akp) al Governo in Turchia accoglie al suo interno esponenti della Fratellanza Musulmana, circostanza che chiarisce il motivo dei rapporti preferenziali fra Turchia e Qatar, principale sostenitore della Fratellanza e che sostiene al-Serraj in Libia.

A novembre 2019, un Dossier dei Servizi Segreti Iraniani viene fatto filtrare e consegnato in Iraq ad una organizzazione giornalistica americana (The Intercept), che lo ha condiviso con il New York Times: un intero capitolo del Dossier è dedicato all’apertura di un canale di dialogo fra i Fratelli Musulmani e la Quds Force del Gen. Suleimani, che ha fatto emergere una complementarità che trovava corrispondenze nelle relazioni geopolitiche di Turchia ed Iran.

Questa convergenza collega la crisi libica agli eventi in Medio Oriente ed alla crisi siriana.

In Libia la situazione vede la contrapposizione fra il Qatar, che sostiene il governo di Tripoli, a sua volta sostenuto dai Fratelli Musulmani, e gli Emirati Arabi, che, insieme all’Arabia Saudita ed alla Russia, sostengono il Gen. Haftar, per cui Erdogan ha trovato la naturale disponibilità di al-Serraj a stringere un rapporto di stretta collaborazione, anche militare.

Questo legame spiega l’invito della Turchia a sostenere il Governo di Sarraj, rivolto alla Tunisia, dove il partito di maggioranza relativa (Ennahda) comprende esponenti della Fratellanza ed esprime il Presidente del Parlamento tunisino Ghannoushi, ed all’Algeria, dove il partito che si ispira alla Fratellanza esprime, come in Tunisia, il Presidente del Parlamento (Chenine).

Ma l’Algeria e la Tunisia, per diversi motivi legati anche ai forti rapporti con i Paesi Europei, hanno (sinora) declinato l’invito.

In Siria, nonostante la contrarietà dei Fratelli Musulmani al regime di Assad, l’alleanza fra Russia, Turchia ed Iran è riuscita a trovare un punto di equilibrio, anche per la decisione degli Stati Uniti di disimpegnarsi in Siria.

Ma lo “schema Siria” non è direttamente traslabile in Libia, dove la situazione è ancora più complessa, anche se sono state sperimentate alcune sinergie, come il trasferimento in Libia di milizie mercenarie filo turche prima impiegate in Siria per la lotta all’Isis, sfruttandone il minore impegno attuale in Siria.

La Turchia interviene quindi in Libia sulla base di due accordi bilaterali con al-Serraj, che ne costituiscono il presupposto, per conseguire due obiettivi:

  • il primo, sui confini marittimi, riguarda direttamente il settore dell’energia, per rivendicare il diritto della Turchia a partecipare allo sfruttamento delle risorse di gas nel Mediterraneo Orientale, ridisegnando le aree di interesse economico esclusivo a scapito della Grecia e di Cipro, non si concilia con l’Eastern Mediterranean Gas Forum, nel cui ambito si sono composti gli interessi di tutti gli altri Paesi, dell’area e non solo. Appare molto difficile che la Turchia possa rivendicare militarmente i propri diritti, soprattutto perché non sono del tutto infondati, e quindi troverebbero una verosimile ed auspicabile disponibilità alla trattativa nel quadro dell’irrisolto problema della divisione di Cipro, la cui soluzione dovrebbe essere cercata in un contesto regionale e non bilaterale, per non mettere a rischio il mercato regionale.
  • il secondo sulla proiezione internazionale della Turchia a livello regionale, e su questo punto l’accordo sulla sicurezza con al-Sarraj stabilisce il presupposto, che giustifica, secondo Erdogan, la presenza di truppe Turche in Libia. Forse flebile, se anche la Russia ha accuratamente evitato una presenza diretta di forze armate in Libia.

Una situazione complicata, che è stata la causa scatenante del riacuirsi della crisi libica, ed ha causato il fallimento dell’accordo di Mosca, proposto dalla Russia e dalla Turchia, ma che nessuna delle parti in causa sarà disposto a dimenticare.

Da questo momento tutto dipenderà dall’evolversi dei seguiti della conferenza di Berlino, dove nessun risultato è stato raggiunto ma è stato avviato un confronto strutturato, non esauribile in poche ore, dopo anni di colpevole e grave disattenzione internazionale verso la crisi libica, peraltro provocata dalle potenze occidentali con inconcepibile superficialità, ma più in generale verso la stabilità del Mediterraneo, come a Cipro ed in Siria.

Siccome le “primavere arabe” e l’”esportazione della democrazia” non potevano risolvere la transizione verso nuovi equilibri regionali, ancora una volta, come in Libia, si assiste al crollo di vecchi equilibri senza neanche cercare di costruirne di nuovi.

Ma per l’Italia in particolare, con il rischio concreto di un conflitto armato alle porte, qualunque sia il governo in carica, da oggi non sarà più possibile continuare senza un progetto di politica mediterranea, che fissi una linea diplomatica netta con i nostri interlocutori regionali, e che ci doti di un dispositivo militare idoneo a garantire la sicurezza del Paese, che comprenda la capacità di operare con le risorse necessarie anche in  aree limitrofe, e che consideri il valore strategico dell’energia nel quadro di un sistema di alleanze coerente con gli obiettivi di sicurezza nazionale.

 

(3.fine; la prima e la seconda parte si possono leggere rispettivamente qui e qui)

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