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Perché il gas italiano non basta all’Italia. Report Cdp

Secondo Cdp, l'idea di sfruttare i giacimenti italiani per garantire la sicurezza energetica del paese "appare una strada difficilmente percorribile". Ecco perché.

 

Come tutta l’Unione europea, anche l’Italia ha fretta di distaccarsi dai volumi di gas naturale provenienti dalla Russia, sua principale fornitrice con una quota del 43 per cento circa sul totale importato. Il piano energetico stilato dal governo di Mario Draghi prevede, oltre alle installazioni di capacità rinnovabile, all’aumento degli acquisti da altri paesi (innanzitutto l’Algeria) e delle importazioni di gas liquefatto, anche un maggiore contributo – così propose il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani – dei giacimenti italiani di gas.

Tuttavia, stando a un rapporto dell’ufficio studi di Cassa depositi e prestiti (Cdp)dedicato proprio alla sicurezza energetica dell’Italia, “guardare alle risorse interne per garantire una maggiore autonomia e resilienza del sistema appare una strada difficilmente percorribile”.

PERCHÉ I GIACIMENTI ITALIANI SONO INSUFFICIENTI

“Il nostro Paese, a fronte di riserve accertate comprese tra i 70 e i 90 miliardi di metri cubi, produce attualmente poco più di 3 miliardi di metri cubi di gas all’anno (4% dei consumi), con una diminuzione di circa 6 volte rispetto ai livelli di fine anni ’90 e l’inizio del nuovo secolo”, si legge nel documento.

“Il progressivo declino del settore estrattivo nazionale”, argomenta l’ufficio studi di Cassa depositi e prestiti, “è da ricondursi non solo alla riduzione degli investimenti necessari alla ricerca e allo sviluppo dei giacimenti, ma soprattutto alla crescente attenzione, anche da parte delle comunità locali, all’impatto delle attività sul territorio”.

“L’obiettivo di salvaguardia dell’ecosistema dai rischi ambientali e sismici, infatti, ha portato l’Italia, come molti Paesi europei, a rinunciare all’adozione delle tecnologie di fracking11 e, più in generale, a ridurre drasticamente le aree di operatività”. Secondo CDP, i dati particolarmente emblematici sono due: che dei 1300 giacimenti presenti sul suolo nazionale, oggi poco più di 500 vengono coltivati con continuità; e poi che l’ammontare più significativo di riserve è localizzato nell’Adriatico settentrionale, dove tuttavia è imposto il divieto di estrazione.

COSA FARE, SECONDO CDP

Secondo CDP, “la prospettiva più efficace, pertanto, è quella di guardare alla sicurezza energetica in un’ottica integrata che consideri contemporaneamente:

  1. l’esigenza di tutelare la continuità degli approvvigionamenti (con un focus specifico sui partner e sulla dipendenza dall’estero);
  2. la necessità di presidiare e preservare le infrastrutture critiche di fornitura in una prospettiva di breve-medio periodo;
  3. lo sviluppo delle fonti rinnovabili (affrontando i principali nodi strategici relativi alle innovazioni tecnologiche e alle materie prime critiche necessarie).

LE PAROLE DI CINGOLANI SUL GAS

Il ministro Cingolani sostiene che, sull’energia, l’Italia abbia preso delle “scelte sbagliate del passato. Abbiamo fatto una politica implosiva: nel 2000 producevamo 20 miliardi di metri cubi di gas, oggi ne produciamo solo 4,5, a fronte di un consumo pari a 72 miliardi di metri cubi”.

“Abbiamo deciso che era meglio comprare all’estero il gas invece di utilizzare il nostro”, ha poi aggiunto.

L’Italia possiede dei giacimenti nazionali di metano, il componente principale del gas naturale, per quanto modeste. Le riserve – stando ai numeri ufficiali contenuti nel Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, o PiTESAI – ammontano a circa 90 miliardi di metri cubi, concentrate principalmente nella Pianura padana, nel mar Adriatico e in Basilicata.

Riserve che però sono ferme da anni, non sfruttate, a causa dell’incertezza politica che disincentiva gli investimenti. Le stime dicono che il costo di estrazione del metano italiano è di circa 5 centesimi al metro cubo. Di contro, il gas che l’Italia importa dall’estero (da Russia e Algeria, principalmente) ha un prezzo mediamente di 50-70 centesimi.

Nel primo decreto Energia il governo ha approvato un “emendamento di dettaglio” – così lo definiva Il Sole 24 Ore – per favorire le attività di estrazione intorno ai progetti Argo e Cassiopea di Eni in Sicilia. Considerati però i volumi probabilmente ridotti dell’output, Cassa depositi e prestiti non giudica la mossa troppo rilevante da un punto di vista sistemico.

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