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Pannelli Solari

L’Ue può superare la dipendenza dalla Cina per l’energia solare?

L'Unione europea vuole aumentare di molto le installazioni di energia solare al 2030, rischiando però di aggravare la sua dipendenza tecnologica dalla Cina. La Commissione ha un piano per potenziare la manifattura interna, ma i dubbi sono tanti.

Nel 2022 l’Unione europea ha installato oltre 40 gigawatt di pannelli solari fotovoltaici, un record che è però stato possibile solo grazie al raddoppio delle importazioni di questi dispositivi dalla Cina. I pannelli assemblati internamente sono valsi 8 GW, ma la maggior parte dei componenti era comunque di provenienza cinese.

GLI OBIETTIVI AL 2030, E I RISCHI

L’Unione europea vuole arrivare al 2030 con 592 GW di capacità solare fotovoltaica: significa più o meno triplicare la capacità attuale nel giro dei prossimi sette anni. È un obiettivo ambizioso, ma che senza un’industria comunitaria sufficientemente grande rischia di causare una forte dipendenza commerciale e tecnologica da Pechino. Anche perché l’85 per cento della produzione mondiale di celle solari e il 74 per cento di quella di moduli avviene in Cina.

DALLA RUSSIA ALLA CINA

È per questo che Kadri Simson, la commissaria europea per l’Energia, ha dichiarato di recente che “passare dai combustibili fossili alle energie rinnovabili non deve significare sostituire una dipendenza con un’altra”: cioè dalla dipendenza dalla Russia per il gas naturale e il petrolio alla dipendenza dalla Cina per le cosiddette tecnologie pulite (batterie, turbine eoliche, pannelli fotovoltaici).

IL NET-ZERO INDUSTRY ACT

Per recuperare terreno manifatturiero, la Commissione europea ha imitato gli Stati Uniti e il loro Inflation Reduction Act con una proposta di legge, il Net-Zero Industry Act, che fissa per il 2030 un obiettivo minimo di produzione interna del 40 per cento per tutte le clean tech.

Come ha detto l’eurodeputato Raphaël Glucksmann al Financial Times, “l’Europa deve tornare a produrre. Non possiamo essere un continente di consumatori. Lo abbiamo imparato dalla pandemia e dalla guerra: quando c’è un’interruzione del mercato, allora siamo persi e nudi”.

LE SPERANZE IN ENEL SONO BEN RIPOSTE?

Ci si chiede, tuttavia, se il target europeo sia realistico, date le condizioni di partenza e le tempistiche molto ristrette.

Steven Xuereb, direttore della società tedesca di servizi fotovoltaici PI-Berlin, ha detto a questo proposito al Financial Times che “non possiamo scalare abbastanza velocemente per soddisfare la domanda europea. Tutti sono entusiasti del nuovo impianto [di Enel] in Sicilia, che produrrà 3 GW”: si riferisce ai piani di espansione dello stabilimento di 3Sun a Catania, che dovrebbe diventare la fabbrica di pannelli solari più grande d’Europa. “I giganti cinesi annunciano nuove fabbriche da 20 GW”.

I COSTI (AUMENTATI) DELLA TRANSIZIONE

Esiste peraltro la possibilità che il Net-Zero Industry Act possa rivelarsi controproducente, complicando e rallentando la transizione energetica anziché accelerarla.

L’Agenzia internazionale dell’energia stima che un pannello solare prodotto da una filiera completamente europea abbia un costo superiore di un terzo a un pannello cinese. L’energia eolica, insomma, potrebbe costare molto di più, disincentivando le installazioni.

LO SCONTRO UE-CINA SUL SOLARE

Un tempo l’Unione europea era la maggiore produttrice al mondo di dispositivi per l’energia solare: nel 2007 valeva il 30 per cento di tutti i pannelli fotovoltaici al mondo. Ma la Cina seppe approfittare della crisi finanziaria del 2008, e del conseguentemente rallentamento economico in Occidente, per dare stimolo alla propria manifattura – i sussidi statali sono stati fondamentali -, raggiungendo grossi volumi produttivi e prezzi bassi.

Nel 2012 la Commissione europea ha lanciato un’indagine anti-dumping sui pannelli solari di importazione cinese, che portò l’anno successivo all’imposizione di dazi di quasi il 50 per cento. Ne seguì una accesa disputa commerciale, con minacce di ritorsioni, che spaventò i paesi dell’Unione (la Cina è un’importantissima partner, specialmente per la Germania) e si concluse con l’eliminazione dei dazi e l’istituzione di un prezzo minimo sui pannelli cinesi. I produttori europei di componentistica solare non furono contenti. Il price floor è stato poi rimosso nel 2018.

Dal 2011 a oggi, stando all’Agenzia internazionale dell’energia, la Cina – ormai potenza pressoché indiscussa nella filiera solare – ha investito oltre 50 miliardi di dollari in nuova capacità manifatturiera di pannelli, dieci volte in più rispetto all’Europa.

LA DIPENDENZA DA POCHI PRODUTTORI

L’Unione europea non è solo estremamente dipendente dalla Cina, ma più nello specifico da una manciata di aziende che producono grandi volumi di componenti intermedi come il polisilicio. Ad esempio, nel 2020 una sola fabbrica in Cina di GCL-Poly Energy valeva circa il 10 per cento delle forniture mondiali di questo materiale conduttivo.

Per di più, circa i due quinti della produzione mondiale di polisilicio si concentrano nello Xinjiang, la regione in cui avvengono le violazioni dei diritti della minoranza uigura (detenzione forzata, lavoro forzato e non solo), condannate da vari paesi e in alcuni casi considerate un genocidio. Almeno due grosse aziende cinesi della filiera del silicio, Xinjiang Hoshine e JinkoSolar, possiedono delle fabbriche nei parchi industriali dello Xinjiang in cui sono detenuti forzatamente degli uiguri.

Nel 2022 gli Stati Uniti hanno imposto un divieto all’importazione di merci contenenti prodotti realizzati nello Xinjiang, e restrizioni simili potrebbero venire applicate anche nell’Unione europea. Per sfuggirvi, diverse aziende cinesi hanno già trasferito la manifattura dallo Xinjiang alla regione della Mongolia interna.

LA WEAPONIZATION DELL’ENERGIA SOLARE

D’altra parte – anche in risposta ai tentativi statunitensi di isolare Pechino dalla tecnologia avanzata per i semiconduttori -, il governo cinese sta iniziando a limitare l’esportazione di alcune tecnologie utilizzate per produrre wafer, delle “fette” di materiale semiconduttore utilizzate nelle celle solari. Per l’Unione europea e per gli Stati Uniti sarà difficili rifornirsi altrove, visto che la Cina vale quasi il 97 per cento dell’offerta mondiale di wafer. Sul territorio europeo rimangono due produttori norvegesi, Norsun e Norwegian Crystal.

Restringere il commercio di una tecnologia o di un bene strategico per scopi politici viene chiamato in gergo weaponization: è una pratica che la Russia ha utilizzato varie volte in passato con il gas naturale.

COSA FARE

Per l’Europa non sarà facile recuperare quote manifatturiere di polisilicio e lingotti di silicio, in particolare, perché la loro produzione consuma grandi quantità di energia, che in Cina ha prezzi ben più bassi. La componentistica solare europea, dunque, potrebbero non essere competitiva a livello internazionale, oppure potrebbe determinare un forte aumento del prezzo dei pannelli finiti installabili nel Vecchio continente.

L’assemblaggio di celle e moduli solari, tuttavia, è un’attività a intensità energetica minore.

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