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Covid-19, che cosa chiedono le associazioni ambientalistiche

L’appello delle associazioni al governo per la fase post Covid-19   Conte finora non lo ha detto, ma gli aspetti ambientali sono legati alla crisi economica da coronavirus. Si studia la fase 2 e nella riapertura di fabbriche, negozi ed uffici bisogna anche tener conto delle connessioni con la qualità dell’aria, delle fonti di energia,…

 

Conte finora non lo ha detto, ma gli aspetti ambientali sono legati alla crisi economica da coronavirus. Si studia la fase 2 e nella riapertura di fabbriche, negozi ed uffici bisogna anche tener conto delle connessioni con la qualità dell’aria, delle fonti di energia, dei rifiuti, della mobilità. A tutti coloro che stanno pensando a come far ripartire il Paese si rivolgono le organizzazioni ambientaliste con un appello corale. Francamente se ne avvertiva il bisogno. Ce lo aspettavamo, dentro le valutazioni scientifiche sulle relazioni tra epidemia da Covid-19 e inquinamento.

Abbiamo registrato livelli inauditi di contagio in aree dove le polveri sottili sono altissime e la green economy si è presentata debole. Le malattie polmonari su cui incide pesantemente il virus derivano per lo più dalle condizioni climatiche, da alti valori di biossido di carbonio, dalla pessima gestione dei fattori climateranti. Cosa che i rispettabili membri del Comitato tecnico scientifico del governo conoscono benissimo.

Fise Unicircular, Marevivo, Accademia Kronos, Cetri-Tires, Comisma, Fondazione Symbola, Fondazione Univerde, Greenpeace, Italia Nostra, Kyoto Club, Lav, Legambiente, Lipu-Birdlife Italia, Stazione Zoologica Anton Dohrn Napoli, Università UniCamillus e Wwf Italia, in un documento scrivono che “è il momento di innescare un nuovo inizio rispettoso della salute dell’ambiente, umana e degli animali”. Citando Papa Francesco, dicono alla politica “ci siamo illusi di poter essere sani in un mondo malato, invece bisogna ripensare le priorità a cui far fronte e ridisegnare, con opportune leggi e scelte politiche, un sistema di produzione e consumo più sano e sostenibile. I paradigmi del passato hanno fallito, occorre disegnarne altri”.

La pandemia ha fatto un numero di vittime enorme nelle aree sovrappopolate ed inquinate, come le Regioni del Nord Italia produttivo, la Cina, l’India e ora New York, recita l’appello italiano. Scienziati e centri di ricerca sono al lavoro in Europa come in Cina e negli Usa per definire meglio le connessioni tra diffusione del virus e fattori climatici. Senza allarmismi stanno esaminando dati e storicità delle epidemie. Attenzione dicono gli ambientalisti italiani, perché il coronavirus sta facendo strage in territori “dove anche in periodi ordinari tutto si deve fermare, per l’inquinamento atmosferico”. Insomma non devono sembrare un caso i contagi e i decessi quotidiani in aree forti del sistema Paese. Poi ci sono stati errori di sottovalutazione e qualche lacuna organizzativa, ma è un capitolo a parte.

L’impegno da assumere è di prevedere bene la ripresa. Che i tanti miliardi annunciati da Conte, Gualtieri e Patuanelli siamo spesi bene, in fretta, senza demagogia perché “l’alterazione degli ecosistemi e la sottrazione di habitat naturali alle specie selvatiche può favorire il diffondersi di patogeni prima sconosciuti”. Il tempo ha calato la sua giustizia su chi non credeva nei virus, ed oggi deve firmare i decreti per combatterli.

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