Nella relazione tenuta ieri all’assemblea generale di Confindustria, il presidente Emanuele Orsini, in carica da maggio scorso, ha dedicato molto spazio alla transizione energetica e all’approccio dell’Unione europea, accusata di aver confuso “politiche ambientali autoreferenziali con politiche industriali per la crescita”.
COSA PENSA ORSINI DEL GREEN DEAL
“Il Green Deal è impregnato di troppi errori che hanno messo e mettono a rischio l’industria. Noi riteniamo che questo non sia l’obiettivo di nessuno. La decarbonizzazione inseguita anche al prezzo della deindustrializzazione è una debacle“, ha scandito Orsini, facendo l’esempio dello squilibrio di competitività con la Cina sulla mobilità elettrica e sull’impatto che quest’ultima ha avuto sulla filiera italiana dell’automotive, concentrata sulla tecnologia endotermica.
Secondo il nuovo presidente di Confindustria, è necessario un “cambio di passo della nostra Europa sulla competitività, in riferimento alle politiche industriali che grandi paesi come Stati Uniti e Cina stanno adottando, senza farsi trascinare da politiche ambientali autolesionistiche”.
“L’industria, italiana ed europea, difenderà con determinazione la neutralità tecnologica, chiedendo un’applicazione più realistica e graduale del Green Deal”, ha aggiunto, proponendo – tra le altre cose – di rivedere il divieto di immatricolazione di veicoli alimentati a benzina o gasolio dal 2035.
LA RELAZIONE PRECEDENTE DI CONFINDUSTRIA
Il Green Deal, ovvero l’insieme delle iniziative europee per la riduzione delle emissioni di gas serra e il raggiungimento della neutralità climatica nel 2050, è stato approvato nel 2020: la sua impostazione e i suoi impatti sulle imprese, dunque, sono noti da tempo.
Eppure la precedente relazione di Confindustria – presentata il 15 settembre 2023 dall’allora presidente Carlo Bonomi – non era altrettanto focalizzata sulla transizione energetica e non si accennava al Green Deal. Il presidente Bonomi, comunque, dichiarava che:
Dobbiamo affrontare la duplice transizione – ambientale e digitale – in condizioni impari, rispetto a chi può mobilitare, su scala continentale, risorse finanziarie imponenti e può contare su posizioni di monopolio in componenti fondamentali per le transizioni, dalle terre rare a commodities essenziali.
[…]L’accelerazione per il raggiungimento, in pochi anni, di stringenti obiettivi di contenimento delle emissioni climalteranti è avvenuta senza considerare tutti gli interessi degni di tutela e l’enorme sforzo che lo shock dei prezzi del gas ci avrebbe inflitto.
Tutte le nuove penetranti regolazioni a tal fine (come il Fit for 55) così come quelle per accrescere l’indipendenza dell’industria europea sulle materie prime (come Net Zero Industrial Act e il Raw Material Act), sono state assunte dalla Commissione UE senza una dotazione finanziaria comune; mentre, peraltro, la politica monetaria della Bce cambiava di segno e all’orizzonte appariva il rientro in vigore di un, sia pur modificato, Patto di Stabilità.
Più che chiedere una modifica radicale del Green Deal, la relazione di Bonomi invitava la Commissione a istituire dei “fondi sovrani comuni europei” per preservare il mercato unico ed evitare che i paesi membri con maggiori margini di manovra fiscale (come Francia e Germania) si avvantaggino sugli altri (come l’Italia).
ALLINEAMENTO AL GOVERNO MELONI, INFLUENZA DEL RAPPORTO DRAGHI
Nonostante il cambio di presidente, da Bonomi a Orsini, Confindustria è espressione dello stesso comparto industriale e della stessa classe dirigente. Il cambio dei toni potrebbe allora essere dovuto – oltre all’evidente aggravamento del quadro per il settore automobilistico, rilevantissimo per l’Italia – alla volontà di allinearsi al governo di Giorgia Meloni, che insiste molto sul concetto di neutralità tecnologica per polemizzare con le politiche energetiche della Commissione europea; concetto che, infatti, è presente nella relazione 2024 dell’associazione ma non in quelle del 2023 e del 2022.
La maggiore durezza di Confindustria nei confronti del Green Deal potrebbe inoltre essere stata influenzata dal rapporto di Mario Draghi sulla competitività europea, nel quale si legge che le misure di sostegno finanziario alla transizione ecologica potrebbero non essere sufficienti “per trasformare e garantire la competitività delle industrie ad alta intensità energetica dell’UE”.
“Ci conforta”, ha affermato Orsini nella sua relazione, “che il Rapporto del Presidente Mario Draghi abbia riportato con profondità e completezza le istanze delle nostre imprese, su cui da tempo richiamiamo l’attenzione”.