Abbiamo urgenza di mettere in sicurezza alcuni temi chiave e su questi non ci devono essere né divisioni tra schieramenti politici, né scontri demagogici. Poiché sono in gioco gli interessi generali delle persone, delle famiglie e del lavoro. Non dimentichiamo che la crescita del 3,1% della massa retributiva in Italia, nel periodo gennaio-giugno 2024, evidenzia segnali importanti anche nel recupero del potere di acquisto. Crescita che è salita ancora nel secondo trimestre, attestandosi al +4,1%, rispetto ad un indice di inflazione del +1,1%.
L’incremento retributivo è avvenuto, e continua, anche per effetto degli incrementi salariali erogati nei principali contratti firmati da Confindustria. I risultati ottenuti sono un passo che ci deve motivare per raggiungere stabilmente la media europea. Per questa ragione, il taglio del cuneo fiscale va reso permanente: poiché se le retribuzioni sono al di sotto della media europea il costo del lavoro è più elevato.
Oggi, tuttavia, abbiamo una preoccupazione in più: crescere nonostante le difficoltà di una transizione epocale che investe aspetti diversi e decisivi per le persone, le aziende e gli stessi soggetti politici e sociali.
Mi riferisco alle transizioni energetica, ambientale e digitale. Transizioni, queste, che costano e costeranno migliaia di miliardi al sistema Paese, che sono vere e proprie rivoluzioni industriali e che potranno cambiare in meglio la vita di ciascuno di noi e il futuro delle nostre imprese. Transizioni che hanno, però, bisogno di tempo adeguato. Senza che qualcuno, come sta avvenendo in Europa, confonda politiche ambientali autoreferenziali con politiche industriali per la crescita.
Noi abbiamo il dovere di restare con i piedi per terra, la nostra industria ha già raggiunto gran parte degli obiettivi ambientali, investendo sulle proprie tecnologie.
Non dobbiamo dimenticare che oggi le transizioni, energetica, ambientale e digitale, pongono fondamentali quesiti: industriali, politici ed etici che non possiamo più ignorare. Lo dico con chiarezza, in accordo con i colleghi delle Confindustrie europee. Il Green Deal è impregnato di troppi errori che hanno messo e mettono a rischio l’industria. Noi riteniamo che questo non sia l’obiettivo di nessuno.
La decarbonizzazione inseguita anche al prezzo della deindustrializzazione è una debacle. La storia e il mercato europeo dell’auto elettrica che stiamo regalando alla Cina, parlano da soli! La filiera italiana dell’automotive è in grave difficoltà, depauperata del proprio futuro dopo aver dato vita alle auto più belle del mondo e investito risorse enormi per l’abbattimento delle emissioni.
Il packaging, che ha rispettato in anticipo i target ambientali fissati dalla Commissione stessa, si vede cambiato il modo di raggiungerli, vanificando investimenti e tecnologie della propria filiera. Ma la plastica è sostenibile, se viene riciclata! La ceramica ha investito oltre 2 miliardi di euro per l’innovazione tecnologica, finalizzata a migliorare le prestazioni ambientali, come la qualità dell’aria, ed è oggi un caso di successo internazionale.
Di contro, a valle di questo gigantesco investimento, l’Europa con gli ETS ha consentito la speculazione finanziaria sulla transizione ambientale, spingendo il prezzo della CO2 fuori dal mercato mondiale. Bisogna essere chiari: la disciplina degli ETS deve essere assolutamente cambiata. Continuando così, regaleremo ai nostri competitor internazionali, come sta avvenendo per l’automotive, anche l’acciaio, il cemento, la metallurgia, la ceramica, la carta. Con ricadute negative sugli investimenti, sulla crescita e sull’occupazione.
Tra il 1993 e il post Covid, a fronte di un aumento del PIL pro capite negli Stati Uniti pari a +56,6%, quello dell’Europa è stato della metà. Il risultato è severo: ora basta, dobbiamo cambiare passo. L’industria, italiana ed europea, difenderà con determinazione la neutralità tecnologica, chiedendo un’applicazione più realistica e graduale del Green Deal. Ecco perché oggi serve più che mai una solida politica industriale europea.
Tutto ciò richiede colossali investimenti pubblici e privati, strategie comuni oggi inesistenti, per i conflitti di visione e interessi intra-UE. Una politica economica convergente, per la salvaguardia e la tenuta del mercato unico, e un Patto di Stabilità all’altezza delle sfide che abbiamo davanti. A tutt’oggi, però, non riusciamo a vedere come l’Europa possa ripartire con la spinta che servirebbe.
• Come si fa a parlare seriamente di competitività se l’Europa investe appena 20 miliardi in dieci anni sull’Intelligenza Artificiale, mentre la Cina ne investe 100 e gli Stati Uniti ben 330?
• Come possiamo parlare di competitività senza un mercato unico dell’energia, con l’Italia (seconda manifattura d’Europa) che paga una bolletta elettrica fino al 40% superiore alla media europea?
• Come facciamo ad essere indipendenti per gli investimenti relativi alla difesa, se rinunciamo alla produzione e alla trasformazione delle materie prime?
• E ancora: quando verrà annunciato lo spostamento allo stop al motore endotermico oggi fissato per il 2035? Non possiamo aspettare il 2026.
E ci conforta che il Rapporto del Presidente Mario Draghi abbia riportato con profondità e completezza le istanze delle nostre imprese, su cui da tempo richiamiamo l’attenzione
E sappiamo bene che è arrivato il momento, insieme alle categorie economiche e sindacali, di spiegare all’opinione pubblica la svolta e illustrare come i piccoli reattori modulari siano molto più sicuri e meno invasivi sui territori rispetto alle grandi centrali di vecchia generazione. Pensate che sia possibile continuare a pagare l’energia fino al 40% in più della media europea? Noi no. E pensate che solo l’utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili possa soddisfare il nostro fabbisogno energetico? Noi no.
A proposito di lavoro, c’è il nodo delle retribuzioni. Come alcuni sembrano non voler ricordare, Confindustria prevede nelle sue qualifiche contrattuali retribuzioni ben più elevate del salario minimo per legge di cui si parla. Noi difendiamo il principio che il salario, in tutte le sue componenti, si stabilisca nei contratti, nazionali e aziendali, trattando con il sindacato. Al sindacato diciamo che è tempo di un’azione comune per contrastare i troppi contratti siglati da soggetti di inadeguata rappresentanza. È tempo di unire le forze per indicare una via diversa ai troppi settori in cui convivono salari incongrui e irregolarità fiscali e contributive.
Serve:
- introdurre l’aliquota premiale sull’IRES per gli utili reinvestiti;
- abolire l’IRAP per le società di capitali e non sostituirla con una sovraliquota IRES;
- ripristinare l’ACE, poiché la patrimonializzazione delle nostre imprese è elemento essenziale per investire.
Però noi non ci limitiamo solo a chiedere. Siamo pronti a un esame serio e dettagliato con il Governo di molte fiscal expenditures, detrazioni e deduzioni d’imposta che, nel corso dei decenni, si sono accumulate a centinaia e molte non corrispondono a vere finalità di crescita. Presenteremo inoltre al Governo – entro poche settimane – una serie di misure a costo zero, che sono essenziali per la certezza del diritto e la sburocratizzazione degli oneri che soffocano oggi le nostre imprese, tanto da trasformare l’imprenditore in una sorta di funzionario pubblico aggiuntivo. Qualche esempio. Quello della 231 uguale per tutte le imprese, a prescindere dalla loro dimensione, è una pazzia. Sappiamo tutti quanto gli adempimenti burocratici a cui le aziende sono sottoposte impattino direttamente sulla redditività, specie delle piccole imprese.
(Estratto dalla relazione del presidente di Confindustria, Emanuele Orsini. Il testo integrale è disponibile qui)