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Cina Petrolio

Cosa combina la Cina tra petrolio russo, metalli e criptovalute

La Cina tratta con la Russia per l'acquisto di barili di petrolio a basso prezzo. Intanto, l'estrazione di criptovalute riprende vigore, ma il quadro macroeconomico non è entusiasmante. Tutti i dettagli

 

La Cina è in trattativa con la Russia per l’acquisto di petrolio greggio a basso costo, che utilizzerà per riempire le proprie scorte strategiche. Stando alle fonti di Bloomberg, le discussioni sono condotte a livello governativo e le società energetiche sono poco coinvolte.

BARILI SCONTATI

Nonostante l’invasione dell’Ucraina abbia fatto aumentare ulteriormente i prezzi del petrolio, la Russia sta vendendo il proprio greggio con un forte sconto per compensare il rischio corso dagli acquirenti di violare le sanzioni internazionali. Il costo vantaggioso dei barili russi viene visto da Pechino – la nazione è la maggiore importatrice di greggio – come un’opportunità per rimpinguare le proprie riserve senza spendere troppo.

Bloomberg precisa che russi e cinesi non hanno ancora concordato volumi e dettagli della transazione, ed esiste la possibilità che l’accordo non si realizzi.

CHI BLOCCA E CHI IMPORTA IL GREGGIO RUSSO

Stati Uniti e Regno Unito hanno vietato le importazioni di petrolio russo, e anche l’Unione europea – che ne è tuttavia maggiormente dipendente – sta pensando di fare lo stesso, in modo da privare il Cremlino di una fonte di entrate fondamentale: non tutti i paesi membri sono d’accordo, però. Il greggio russo continua comunque a venire acquistato da India e Cina, per esempio, in virtù della sua convenienza di prezzo.

Da quando Mosca ha dato inizio all’invasione dell’Ucraina, le raffinerie cinesi hanno importato greggio russo anche se la rigidissima politica di contenimento dei contagi di coronavirus ha abbattuto la domanda petrolifera interna: ad aprile è scesa del 6,7 per cento su base annua. La situazione in Cina, in virtù del suo ruolo di grande acquirente di barili, ha arrestato la crescita del prezzo del petrolio sui mercati internazionali, benché quest’anno finora il valore del Brent (il benchmark principale) sia del 40 per cento più alto rispetto al 2021.

LE RISERVE DI PETROLIO DELLA CINA

La Cina non rivela la capacità delle sue riserve petrolifere, ma si stima che siano in grado di stoccare più di un miliardo di barili, tra scorte commerciali e strategiche. Secondo la società di analisi dati Kpler, le riserve contengono attualmente 926,1 milioni di barili: più degli 869 milioni di metà marzo, ma inferiori del 6 per cento rispetto al record toccato a settembre 2020. Per fare un paragone, la riserva strategica degli Stati Uniti può ospitare 714 milioni di barili di petrolio; al momento ne conserva circa 538 milioni.

L’anno scorso, per favorire l’abbassamento dei prezzi del greggio, la Cina ha venduto dei barili dalla propria riserva; la mossa, però, ha avuto effetti solo di breve periodo.

COSA SUCCEDE AI METALLI E ALL’ECONOMIA CINESE

Oltre che di petrolio, la Cina è anche una grande importatrice di metalli industriali. Gianclaudio Torlizzi, analista di materie prime e fondatore di T-Commodity, parla di ricoperture in atto oggi sugli indici azionari cinesi e metalli di base a seguito dell’ultima azione di stimolo monetario intrapresa dalla Banca centrale del paese per il taglio del prime rate a cinque anni al 4,5 per cento.

Il quadro macroeconomico, precisa Torlizzi, rimane però negativo, e la leadership cinese si trova davanti a un bivio: gli stimoli monetari finora implementati hanno fallito nel dare impulso all’economia, e il meccanismo di trasmissione del credito è di fatto saltato.

“In quest’ottica”, afferma l’analista, “una possibile exit strategy per Pechino potrebbe giungere dall’helicopter money: un’inondazione di liquidità dall’alto simile a quella adottata da Washington nel 2020 per contrastare gli effetti recessivi dei lockdown. Con una grande differenza però: nella versione cinese, gli stimoli fiscali verrebbero implementati attraverso lo yuan elettronico. Si tratterebbe di un game-changer perché così facendo il governo di Pechino potrebbe decidere esattamente cosa far spendere alla popolazione (solo prodotti made in China?) ed entro quale lasso temporale”.

“A prescindere dal metodo tuttavia”, conclude Torlizzi, “è chiaro che ciò genererebbe una ripartenza a V dell’economia, aprendo a una nuova fase di stress per il comparto mondiale della logistica e dunque a nuove pressioni inflazionistiche”.

IL MINING DI CRIPTOVALUTE

Secondo una ricerca del Cambridge Center for Alternative Finance, i “minatori” di criptovalute stanno riuscendo ad aggirare le restrizioni imposte dal governo cinese e l’attività torna a registrare numeri importanti. La stretta di Pechino al mining – per via del grande consumo di energia e per la volontà di portare il settore sotto il controllo statale – ha portato i minatori a trasferirsi in altri paesi, principalmente Kazakistan e Stati Uniti.

Dopo il crollo della capacità di calcolo cinese, il paese è tornato al secondo posto della classifica mondiale (preceduto dagli Stati Uniti) già lo scorso settembre. L’estrazione di criptovalute potrebbe però risultare ora un’attività meno redditizia, considerato il crollo di bitcoin e di altre monete, scrive il Sole 24 Ore.

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