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Clean Tech Act

Ecco il piano Ue sui sussidi alle industrie verdi

Il commissario Breton ha elaborato una risposta all'Ira di Biden: il Clean Tech Act, un piano di sussidi all'industria europea per favorirne la riconversione verde. Ecco a chi piace e a chi no.

Cosa farà l’Ue contro l’Ira di Biden?

Il commissario per il Mercato interno dell’Unione europea, Thierry Breton, ha elaborato un piano di risposta all’Inflation Reduction Act di Joe Biden, la legge da 369 miliardi di dollari per il rinvigorimento della manifattura statunitense nei settori fondamentali per le transizioni ecologica e digitale.

Secondo Bruxelles, i generosi incentivi contenuti nell’IRA rischiano di dirottare oltreoceano gli investimenti europei nelle tecnologie critiche, lasciando il Vecchio continente sprovvisto di una base produttiva per le industrie del futuro.

IN COSA CONSISTE IL CLEAN TECH ACT

Il piano di Breton, chiamato Clean Tech Act, punta proprio a ridurre lo svantaggio competitivo dell’Europa rispetto all’America, offrendo alle aziende europee dei sussidi da utilizzare per finanziare la riconversione “verde” dei loro processi produttivi, così da mettersi nelle condizioni di reggere la concorrenza con le imprese rivali statunitensi.

Nelle intenzioni del commissario, scrive POLITICO, il Clean Tech Act servirà a indirizzare verso alcuni “campioni industriali” europei i fondi provenienti dai ventisette paesi membri dell’Unione.

LA MOSSA DELLA FRANCIA

Il pensiero di Breton è sostanzialmente lo stesso del suo paese d’origine, la Francia, che infatti ha annunciato già una serie di misure per favorire il ritorno in patria dei comparti più cruciali per la transizione energetica: “idrogeno verde, elettrolisi, produzione di batterie elettriche, energia nucleare ed energie rinnovabili”, ha detto qualche giorno fa il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire.

CHI CONTESTA IL PIANO DI BRETON

L’approccio “alla francese” di Breton non è però condiviso né da tutti i membri dell’Unione europea, né da tutti i funzionari della Commissione: i paesi dell’Europa settentrionale più attenti alla tutela del libero commercio, così come i commissari di orientamento liberista – come il lettone Valdis Dombrovskis, al Commercio, e la danese Margrethe Vestager, alla Concorrenza – guardano con un certo scetticismo all’idea di un massiccio intervento statale nell’economia.

Breton ha allora iniziato a corteggiare innanzitutto quegli stati con delle forti basi industriali – ad esempio la Spagna e la Polonia – e che quindi sono più spaventati dalla possibilità di vedere la propria manifattura spazzata via dagli altri prezzi dell’energia e dai sussidi di Washington.

GARANTIRE CONDIZIONI DI PARITÀ

I dettagli sul Clean Tech Act sono al momento scarsi: la presidente della Commissione Ursula von der Leyen dovrebbe però fornirne alcuni la settimana prossima, durante il Forum economico mondiale di Davos.

Thierry Breton ha detto a POLITICO che l’Unione europea ha bisogno di “una risposta coordinata sia con una legislazione orizzontale che risponda all’IRA, un po’ come abbiamo fatto con il Chips Act [il piano da 43 miliardi di euro per stimolare la produzione europea di microchip, ndr], ma questa volta per un IRA europeo”.

“In secondo luogo, per quanto riguarda i finanziamenti”, ha proseguito il commissario, “dobbiamo assicurarci che ci siano condizioni di parità per tutti i paesi dell’UE in termini di accesso ai fondi” per sussidiare le industrie chiave per la transizione energetica.

La questione della parità è fondamentale. In sua assenza, infatti, il rischio è che gli aiuti di stato nazionali finiscano per creare degli squilibri di competitività all’interno del mercato unico europeo: gli stati membri più grandi e in possesso di maggiori risorse, come la Germania e la Francia, potranno cioè sostenere le proprie aziende con somme ben al di sopra delle possibilità di altri paesi, come il Portogallo o la Grecia.

BRETON RIUSCIRÀ A CONVINCERE LA LIBERISTA VESTAGER?

Ma l’ostacolo forse più grosso per Breton sarà convincere la commissaria per la Concorrenza Margrethe Vestager, non così tanto sicura che l’impiego di massicci aiuti pubblici all’industria sia una buona idea: sia perché “non si può costruire competitività con i sussidi”, ha detto, sia perché si rischierebbe di destabilizzare il “prezioso” mercato unico.

Come ha notato POLITICO, Vestager è stata finora il contrappeso liberale all’interventismo aggressivo di Breton all’interno della Commissione. Tuttavia, recentemente sembra aver ammorbidito le sue posizioni sui sussidi, dato il contesto internazionale.

COSA CAMBIERÀ SUGLI AIUTI DI STATO (FRANCIA E GERMANIA SI SFREGANO LE MANI?)

Una porzione della politica industriale verde europea è già quasi ultimata: si tratta della modifica della normativa comunitaria sugli aiuti di stato, che la Commissione dovrebbe adottare entro gennaio e che renderà più semplice per gli stati membri finanziare con soldi pubblici le aziende in difficoltà.

Nel 2022 Bruxelles ha approvato 170 richieste di aiuti di stato di emergenza, per un totale di 540,2 miliardi di dollari. Le fette più grosse di questa somma sono state distribuite a due soli paesi: la Germania, per quasi la metà, e la Francia, per poco meno del 30 per cento.

IL FONDO SOVRANO EUROPEO È LONTANO

Il vasto piano di sussidi annunciato mesi fa da von der Leyen, l’European Sovereignty Fund, o fondo sovrano europeo, non sarà invece pronto probabilmente prima dell’estate. Una fonte della Commissione ha detto a POLITICO che è “una bella idea”, ma “non abbiamo i soldi”.

Breton – appoggiato dal commissario per gli Affari economici Paolo Gentiloni – vorrebbe sfruttare i fondi esistenti contenuti nel RePowerEU, il piano per accelerare il distacco energetico dalla Russia.

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