skip to Main Content

Cattura

Quanto rischia l’Italia senza la cattura del carbonio

L'industria italiana rischia grosso se non interverrà sulla riduzione delle emissioni dei settori "hard-to-abate" come acciaio, chimica e cemento. Questi processi, però, sono difficilmente elettrificabili: la soluzione migliore è la cattura della CO2? Ecco cosa pensa l'Unione europea.

 

Il 6 febbraio scorso la Commissione europea ha pubblicato le sue raccomandazioni per la riduzione netta del 90 per cento delle emissioni di gas serra entro il 2040, a livello comunitario. Nel documento si legge che, per poter raggiungere quest’obiettivo, saranno necessarie sia misure di riduzione delle emissioni, sia interventi di riduzione del carbonio: il target al 2040 – ritenuto propedeutico all’arrivo alla neutralità climatica, dieci anni dopo – “richiederà la diffusione di tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio”.

A COSA SERVE LA CATTURA DEL CARBONIO

Con cattura del carbonio ci si riferisce a una serie di processi che permettono di sequestrare e stoccare la CO2 emessa dalle fabbriche e dagli impianti energetici, o anche di rimuovere quella già presente nell’atmosfera. È una tecnologia non ancora affermatasi a livello commerciale ma molto promettente: pure l’IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, sostiene che la rimozione della CO2 dall’aria sia fondamentale tanto quanto l’abbattimento delle nuove emissioni.

Mentre infatti le fonti rinnovabili e il nucleare possono rimpiazzare il gas naturale e il carbone nel mix di generazione dell’elettricità, ad oggi non esistono – o non sono sufficientemente sviluppati – processi in grado di sostituire i combustibili fossili nelle acciaierie, nei cementifici, negli stabilimenti chimici e nelle vetrerie, ad esempio: ecco perché queste industrie sono note collettivamente come hard-to-abate. Le tecnologie di cattura del carbonio, dunque, potrebbero permettere di “sequestrare” le emissioni generate da questi impianti ed evitare che finiscano nell’atmosfera.

LA STRATEGIA INDUSTRIALE EUROPEA

Sempre il 6 febbraio, l’Unione europea ha pubblicato la sua strategia industriale per la gestione del carbonio, dedicata allo sviluppo delle tecnologie di cattura e stoccaggio (CCS, in gergo), riutilizzo (CCU) e rimozione diretta (DAC) della CO2.

Nel ribadire la necessità delle tecnologie di cattura del carbonio per raggiungere gli obiettivi climatici, Bruxelles ha fatto sapere che al 2040 dovranno essere catturate almeno 280 milioni di tonnellate di CO2 all’anno e all’incirca 450 milioni di tonnellate entro il 2050. La quantità suggerita per il 2030 all’interno del Net-Zero Industry Act è di 50 milioni di tonnellate all’anno: tanto quanto le emissioni di CO2 della Svezia nel 2022.

La Commissione riconosce come “il numero di progetti operativi di gestione del carbonio industriale su larga scala in Europa è attualmente limitato”, dunque i progetti e le infrastrutture verranno stimolati attraverso il Fondo per l’innovazione e il Connecting Europe Facility.

COSA FANNO ENI E SNAM A RAVENNA

Lo scorso novembre Eni ha fatto sapere che il progetto Callisto per la cattura e lo stoccaggio di carbonio, tra Ravenna e Marsiglia, è stato inserito nella lista dei progetti di interesse comune europeo e potrà accedere al fondo Connecting Europe Facility.

Il Callisto Mediterranean CO2 Network – sviluppato da Eni, Snam e dalla società francese Air Liquide – vuole diventare il più grande polo per lo stoccaggio della CO2 del Mediterraneo. Come spiegava Snam, il progetto si compone di infrastrutture sia esistenti che nuove, a terra e in mare, e coinvolge “emettitori in Italia e Francia, con i relativi hub di rigassificazione e liquefazione della CO2 situati nei due paesi per poi procedere con lo stoccaggio finale nell’hub CCS di Ravenna”.

Callisto dovrebbe entrare in funzione nel 2027. L’avvio della fase uno del polo di Ravenna è previsto per l’inizio del 2024 con lo stoccaggio di 25.000 tonnellate all’anno di CO2 catturate dalla centrale a gas di Eni a Casal Borsetti.

IL POTENZIALE ECONOMICO DELLA CATTURA DELLA CO2

Secondo le stime della Commissione europea, la cattura di 360-790 tonnellate di CO2 genererà un valore economico compreso tra i 45 e i 100 miliardi di euro dal 2030 in poi, sostenendo la creazione di 170.000 posti di lavoro. “Tuttavia”, precisa Bruxelles, “per stimolare lo sviluppo di questo mercato, sarà necessaria una combinazione di finanziamenti pubblici e privati, a livello europeo e nazionale”.

LE OPPORTUNITÀ PER L’ITALIA

Secondo uno studio di Boston Consulting Group pubblicato nel febbraio 2022, se non si interverrà sulle emissioni dei settori hard-to-abate italiani, le emissioni dirette di questi comparti raggiungeranno i 62 milioni di tonnellate di CO2 equivalente nel 2030, rispetto ai 54 milioni del 2019. Considerato il progressivo inasprimento del sistema ETS – ossia il mercato europeo per la compravendita di quote di emissione, che penalizza economicamente le aziende che inquinano sopra una certa soglia -, “al 2030 più del 40% delle emissioni di tali settori non sarà coperta da free allowance di CO2 equivalente”. Le previsioni dicono inoltre che il prezzo europeo della CO2 passerà dai circa 65 euro a tonnellata del 2021 ai 90-130 euro al 2030.

“Questo scenario”, si legge nel paper, “metterebbe a serio rischio l’industria italiana: l’effetto derivante dall’aumento delle emissioni non coperte da free allowance e dell’incremento del prezzo della CO2 porterebbe a un’erosione del Margine Operativo Lordo (MOL) dei settori di circa 2,1-2,7 miliardi di euro all’anno, pari a circa il 20-25% del totale MUL cumulato di tutti i settori, con alcuni di essi (Acciaio a ciclo integrato, Cemento e Carta) particolarmente penalizzati da una erosione del MOL di oltre il 50%”.

Uno scenario di tipo do nothing, dove cioè non verranno introdotte misure di riduzione e rimozione delle emissioni, anche attraverso le tecnologie di cattura – spesso indispensabili, come visto, per i settori hard-to-abate -, potrebbe causare la perdita di 300.000 posti di lavoro in Italia. Le aziende potrebbero tagliare i costi e gli investimenti per compensare l’impatto economico; molte fabbriche potrebbero chiudere o delocalizzare all’estero. Le possibilità di riconquistare quote di mercato verranno ulteriormente ridotte con la piena introduzione, nel 2026, del CBAM, il dazio europeo sulle importazioni di merci ad alta intensità carbonica come acciaio, alluminio, cemento e fertilizzanti.

La mancata riduzione dell’impronta carbonica delle industrie italiane hard-to-abate potrebbe comportare un’erosione del 50 per cento del margine operativo lordo nel comparto siderurgico (integrale), cementiero e cartario. Boston Consulting Group stima invece un’erosione del 25 per cento per i settori della ceramica, del vetro, della chimica e dell’acciaio elettrico. Al 2030 i costi della CO2 potrebbero incidere su questi settori per 2,1-2,7 miliardi di euro all’anno, e per oltre 7 miliardi di euro all’anno nel 2050.

Back To Top