La transizione ecologica ha bisogno di batterie, e anche delle materie prime per produrle: sono note collettivamente come metalli (o minerali) critici, un gruppo di cui fanno parte il litio, il cobalto, il nichel e la grafite, tra gli altri.
SFRUTTARE LA TRANSIZIONE ECOLOGICA
Per i paesi possessori di grandi depositi di minerali critici – e in particolare di litio, alla base della tipologia di batterie più diffusa: le batterie agli ioni di litio -, la transizione ecologica rappresenta un’occasione per espandere la loro influenza internazionale e far crescere le loro economie. Nei prossimi anni la domanda di litio verrà trainata dai veicoli elettrici e dai sistemi di stoccaggio energetico (servono ad accumulare l’elettricità generata in maniera intermittente dagli impianti eolici e solari), e già si prevede che la richiesta del metallo supererà l’offerta.
In un rapporto pubblicato a fine ottobre, la società di servizi finanziari S&P Global ha spiegato che “la batteria sarà il campo di battaglia tecnologico e filieristico per il settore [della mobilità elettrica, ndr] nel prossimo decennio, e l’accesso alle materie prime che la compongono sarà cruciale”.
UN CARTELLO DEI PRODUTTORI DI METALLI CRITICI
Quartz ha scritto che, per aumentare la loro influenza politica sul mondo, i paesi ricchi di risorse minerarie potrebbero cercare di ottenere il potere di determinare i prezzi dei metalli attraverso la formazione di un “cartello” simile all’OPEC, il gruppo delle nazioni esportatrici di petrolio: attraverso la modulazione dell’offerta di greggio, infatti, l’OPEC (e la sua versione allargata, l’OPEC+) non influenza solo i prezzi dei barili, ma anche l’economia globale e la politica estera.
L’idea di creare un cartello dei metalli critici per le batterie sta prendendo piede sia nel Sud-est asiatico che in Sudamerica.
COSA VUOLE FARE L’INDONESIA
In Asia, di recente il ministro degli Investimenti dell’Indonesia Bahli Lahadalia ha detto al Financial Times che il paese sta valutando la possibilità di istituire un meccanismo simile a quello dell’OPEC per garantirsi un controllo maggiore sulla fornitura e sul prezzo di metalli come il nichel, il cobalto e il manganese.
Le riserve di nichel dell’Indonesia valgono il 23 per cento del totale globale. Ma il paese non vuole limitarsi al ruolo di minatore: vuole installare sul suo territorio una catena del valore completa, che parta dall’estrazione del minerale grezzo, passi per la sua lavorazione e finisca con la produzione di batterie.
UNA “OPEC DEL NICHEL” CON FILIPPINE E RUSSIA?
Il ministro ha aggiunto che l’Indonesia vorrebbe coinvolgere nel suo progetto anche altri grandi produttori di nichel, come (forse) le Filippine, la Nuova Caledonia e la Russia.
LA “OPEC DEL LITIO” IN SUDAMERICA
Discussioni simili, ma riferite al litio, si stanno tenendo anche tra Argentina, Bolivia e Cile, i tre paesi che compongono il cosiddetto “triangolo del litio“: più del 55 per cento dei depositi globali del metallo si concentrano qui. Sulla carta, la Bolivia è il vertice più ricco di questo triangolo immaginario, con giacimenti di 21 milioni di tonnellate; seguono l’Argentina, con 19 milioni, e il Cile, con 9,8.
I ministri degli Esteri di Buenos Aires, La Paz e Santiago sono impegnati in “trattative avanzate” sulla creazione di un meccanismo che assegnerebbe loro il controllo dei prezzi del litio “a livello globale”.
Come l’Indonesia con il nichel, anche questa ipotetica “OPEC del litio” dovrebbe andare oltre il triangolo sudamericano e coinvolgere altri produttori di peso come l’Australia, prima esportatrice al mondo. Perché un’organizzazione del genere possa funzionare davvero, però, è necessario che vi sia uniformità normativa tra i suoi membri: l’industria estrattiva è invece regolata in maniera molto diversa già tra Bolivia, Argentina e Cile.
I PRECEDENTI STORICI
L’idea di un raggruppamento dei produttori modellato sull’OPEC ma riferito a materie prime diverse dal petrolio non è nuova. Già nel 1974 si formò una sorta di cartello del rame tra Cile, Perù, Congo e Zambia, il CIPEC (Consiglio intergovernativo dei paesi esportatori di rame), poi allargato ad Australia, Indonesia, Papua Nuova Guinea e Jugoslavia. E nel 1976 l’economista Fred Bergsten parlò di “una nuova OPEC per la bauxite”, la materia prima per la produzione dell’alluminio.
E LA CINA?
L’ipotetica creazione di una OPEC del litio non potrà ignorare la Cina, che pur possedendo appena il 6 per cento delle risorse del minerale controlla il 58 per cento della sua capacità di raffinazione. I produttori di litio, dunque, saranno comunque dipendenti – almeno nel breve termine – da Pechino per trasformare la materia grezza in componenti utilizzabili nelle batterie, come l’idrossido di litio e il carbonato di litio. Sul lungo periodo le cose potrebbero cambiare, qualora i paesi produttori dovessero dotarsi di capacità di lavorazione proprie, come sembrano intenzionati a fare.
Al di là della raffinazione, la Cina è un’investitrice rilevantissima nei progetti estrattivi di litio in Sudamerica e in quelli di nichel e cobalto in Indonesia. Attraverso queste partecipazioni, dunque, Pechino potrebbe esercitare la propria influenza sulle decisioni dei cartelli dei metalli.
LA DECISIONE DEL CANADA
Qualcosa sembra stare cambiando, però. La settimana scorsa il Canada ha ordinato infatti a tre aziende cinesi di dismettere gli investimenti nell’industria canadese dei minerali critici, per ragioni di sicurezza nazionale. Due delle società canadesi che i cinesi dovranno cedere possiedono progetti estrattivi di litio in Argentina e in Cile.