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Batterie

La “Nato dei metalli” sta prendendo forma

Il Canada ha ordinato alle aziende cinesi di cedere i loro investimenti nell'industria mineraria canadese. L'annuncio rappresenta un avanzamento del progetto di "Nato metallica" con gli Stati Uniti, l'Australia, il Giappone e non solo. Tutti i dettagli.

 

La settimana scorsa il Canada ha ordinato a tre società cinesi di dismettere i loro investimenti nell’industria canadese dei minerali critici per ragioni di sicurezza nazionale.

Con minerali o metalli critici si intendono le materie prime per la transizione energetica, come il litio e il nichel per le batterie delle auto elettriche.

LE AZIENDE CINESI COLPITE

Le tre società cinesi sono Sinomine Rare Metals Resources, Chengze Lithium International e Zangge Mining Investment. Sinomine dovrà cedere gli investimenti in Power Metals, Chengze Lithium quelli in Lithium Chile e Zangge Mining quelli in Ultra Lithium.

IL DANNO IN BORSA

Poco dopo l’annuncio del governo canadese, le azioni di Sinomine hanno perso il 7,8 per cento, a 86,7 yuan (circa 11,8 dollari). Giovedì scorso quelle di Chengze hanno perso inizialmente il 4 per cento, per poi risalire e chiudere al +0,7 per cento, a 45,6 yuan. Il titolo di Zangge Mining ha perso il 3,7 per cento, ma successivamente si è risollevato.

Quanto alle aziende canadesi, nell’immediato Power Metals ha perso fino al 21 per cento sulla borsa TSX Venture Exchange di Toronto, la peggiore performance giornaliera dall’aprile 2020. Ultra Lithium è calata fino al 25 per cento, mentre Lithium Chile fino al 10 per cento.

GLI OBIETTIVI POLITICI

Era scontato che l’industria mineraria canadese avrebbe accusato l’impatto della mossa di Ottawa: la Cina è stata finora una grossa fonte di investimenti per il settore del litio; molti meno capitali sono giunti dagli Stati Uniti, dall’Europa o dallo stesso Canada.

A muovere il governo canadese, però, non è  il calcolo economico ma quello politico: evitare, cioè, che la Cina assuma una posizione ancora più dominante sulla filiera dei metalli critici per le batterie, che costituiscono le nuove materie strategiche della transizione energetica.

Il Canada non vuole insomma sviluppare una dipendenza industriale da una nazione ideologicamente distante, che potrebbe farsi ostile e interrompere le forniture come forma di ritorsione: uno scenario paragonabile alla situazione che sta vivendo oggi l’Europa nei confronti della Russia e del suo gas.

LA “NATO DEI METALLI”

Obbligando le aziende cinesi a disinvestire, il Canada ha dimostrato di essere allineato agli Stati Uniti, che vogliono mettere in sicurezza le supply chain dei metalli critici (a cominciare dal Nordamerica), marginalizzando la Cina e la Russia: la prima è un’enorme raffinatrice di litio e terre rare, mentre la seconda è una grossa produttrice di nichel.

La mossa di Ottawa è inoltre un segnale concreto dell’avanzamento di quella che l’analista Andy Home ha chiamato “NATO metallica”: un’alleanza sui minerali tra gli Stati Uniti e un gruppo di paesi politicamente affini. Ne fanno parte nazioni ricche di risorse come il Canada e l’Australia, e produttori di batterie come la Corea del sud (con LG Energy Solution) e il Giappone (con Panasonic).

“Una rete di approvvigionamento di minerali che prima era altamente globalizzata”, scrive Home, “sembra destinata a dividersi in sfere di influenza politicamente polarizzate”. Da una parte gli Stati Uniti e i paesi a loro affini (è il concetto di friend-shoring, una sorta di “globalizzazione tra amici”), dunque, e dall’altra la Cina e la Russia.

– Leggi anche: Titanio, tutte le spese di Rio Tinto per rivaleggiare con la Cina

Il nome ufficiale della “NATO dei metalli” è Partnership per la sicurezza dei minerali. È stata presentata lo scorso giugno e ne fanno parte gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, la Corea del sud, la Finlandia, la Francia, la Germania, il Giappone, il Regno Unito, la Svezia e la Commissione europea.

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