Il settore del welfare aziendale chiede all’esecutivo di Mario Draghi di non essere dimenticato. Del resto, come emerge da una recente ricerca, le sfide poste dal mutato contesto sociosanitario e dalle relative ripercussioni economiche avrebbero confermato la bontà delle soluzioni di welfare aziendale. Ne consegue – sostengono le aziende del settore – che i buoni pasto costituiscono un valido strumento di riduzione del costo del lavoro per le aziende che occupano lavoratori subordinati. E con covid e smart working la versione cartacea sta velocemente lasciando il passo al formato elettronico. Il buono cartaceo non è soggetto a trattenute fino al valore facciale di 4 euro, quello elettronico è esente da tassazione fino al valore di 8 euro. Proprio a seguito dell’emergenza Covid-19, l’Agenzia delle Entrate, nell’interpello n. 956/26321/2020, ha chiarito che la non imponibilità prevista dal Testo unico delle imposte sui redditi si applica anche ai lavoratori in smart-working entro i limiti di importo ordinariamente previsti.
Il credito welfare aziendale pro capite disponibile nel corso del 2020 per singolo dipendente risulta pari a circa 850 euro, importo sostanzialmente in linea con gli 860 euro registrati per il 2019. Questa singola evidenza è di per sé molto rilevante tenuto conto del contesto pandemico e del calo del Pil dell’8,8% nel 2020. I flexible benefit si confermano un importante strumento di integrazione salariale anche in un contesto straordinariamente critico. A fronte di una caduta del reddito disponibile delle famiglie nel 2020, pari a circa tre punti percentuali secondo le stime di Banca d’Italia, la quota welfare continua a giocare un ruolo importante.
Insomma, il welfare aziendale resta un aiuto importante, soprattutto in tempi di crisi. Per questo le aziende del settore chiedono al governo importanti cambiamenti nel dl Sostegni. I testi presentati dai partiti di maggioranza (FI, PD e Italia Viva) al decreto sostegni puntano all’aumento a 500 euro (contro i precedenti 258,23 euro) dell’importo del valore dei beni ceduti e dei servizi prestati dall’azienda ai lavoratori dipendenti che non concorre alla formazione del reddito, stabilito dall’art. 112 del Decreto Agosto. “Questa misura – viene sostenuto -, utilizzabile facilmente anche dalle piccole e medie imprese, rappresenta uno strumento interessante a disposizione di tutto il tessuto produttivo italiano, per sperimentare i vantaggi del welfare aziendale. Sono infatti molte le realtà che – a causa delle loro dimensioni, di eventuali difficoltà organizzative o semplicemente scarsa conoscenza del tema – sono state finora “impermeabili” alle opportunità determinate dal welfare aziendale”.
“Altro aspetto estremamente importante – viene sottolineato, l’incremento del limite del cd. fringe benefit può divenire un’opportunità sotto il profilo economico per il sistema Paese. In generale infatti le cifre che i datori di lavoro destinano al welfare aziendale vanno ad integrare la normale retribuzione ma, al contrario di quest’ultima, non possono “andare a risparmio” e devono essere spese dai lavoratori entro l’anno fiscale di riferimento. In questa direzione, in un periodo come quello attuale in cui molte attività economiche hanno ridotto drasticamente il proprio volume di affari a causa di una generale contrazione dei consumi dovuta alla pandemia, darebbe una spinta ai consumi, utile a contrastare la propensione al risparmio e, quindi, sostenere la ripresa economica”.
Articolo pubblicato su policymakermag.it