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Green Deal

Vi dico chi vince e chi perde in questa Europa

Il commento di Gianfranco Polillo, che fa riferimento a un intervento di Giuliano Cazzola su Start Magazine. Tema: l'Europa e il documento di Savona inviato a Bruxelles

Caro Giuliano, lasciamo da parte gli argomenti storici-letterari. Su Danzica esistono tomi revisionisti che non sono da meno rispetto alla critica, in Italia, all’agiografia resistenziale. Pensa solo alla diversa posizione, rispetto a Churchill, di Lloyd George. Ma andiamo all’essenziale.

Ripeto la domanda: si può “morire per Bruxelles?”. Non per l’Europa. Ma per quest’Europa. Per la sua burocrazia assillante. Per il groviglio di regole imposte, con l’obiettivo recondito di favorire alcuni e danneggiare altri. Anche per colpa di questi ultimi. Per quel groviglio di potere che si trasforma in cane da guardia nei confronti dei deboli e dispensatore di indulgenze per i forti. A questa realtà effettiva occorre riferirsi e non alla celebrazione di un’idea.

Da questo punto di vista, l’Europa che abbiamo conosciuta o è disposta a cambiare oppure è destinata a non sopravvivere a se stessa. Quelle fibrillazioni politiche che la percorrono da sud a nord, da est ad ovest, dall’Italia alla Svezia, sono rivelatrici di un malessere profondo: da interpretare e gestire prima che si determinino situazioni di non ritorno. Può sembrare un paradosso: ma i veri nemici dell’Europa sono gli europeisti “senza se e senza ma”. Quelli che sfilando nelle processioni e ai dubbi di una parte crescente della pubblica opinione, rispondono con l’esecrazione.

Vorrei porti solo alcune domande che riguardano casi specifici. La Francia, con ogni probabilità, chiuderà anche quest’anno i suoi conti in rosso. Con un deficit superiore al 3 per cento. Al tempo stesso presenterà un deficit delle partite correnti della bilancia dei pagamenti per circa 1 punto di Pil. Storia, questa, che si ripete, seppure con cifre leggermente diverse, dal 2008.

L’Italia avrà, invece, un deficit di bilancio di molto inferiore ed un forte surplus delle partite correnti della sua bilancia dei pagamenti. Situazione quindi diametralmente opposta. Per altro continua dal 2012. Elemento se non strutturale, almeno di medio periodo. Ebbene per situazioni così diverse, si può invocare la stessa regola del Fiscal Compact? O non sarebbe più logico imporre alla Francia una stretta maggiore, visto che la sua economia non è competitiva rispetto all’estero? Ed all’Italia una minore, dato che quel basso grado di utilizzazione delle risorse (impianti e mano d’opera) le regala un eccesso di competitività verso l’estero?

Secondo caso: questa volta più antico. Crisi dello Sme, il sistema monetario europeo prima della nascita dell’euro. Fu la conseguenza delle modalità seguite dalla Germania, nel procedere lungo la strada della riunificazione. L’Italia e la Gran Bretagna pagarono il prezzo più alto, in termini di svalutazione delle rispettive monete e di conseguenze politiche. Nel primo caso la fine della Prima Repubblica. Nel secondo la crisi del partito conservatore e la successiva ascesa di Tony Blair. Il franco francese, invece, si salvò dalla bufera, grazie all’aiuto della Bundesbank. Aiuto che fu invece negato a Gran Bretagna ed Italia.

Si potrebbe continuare a lungo nel descrivere le asimmetrie del potere. Fino ai giorni nostri. Con un Donald Trump giustamente infuriato con il surplus della bilancia commerciale tedesca. Che sottrae spazio alle esportazioni americane e si traduce in una forma di protezionismo, seppure mascherato.

Negli anni passati, questi episodi non hanno fatto notizia. Sono rimasti patrimonio di una ristretta cerchia di osservatori. Ma ci sono, comunque, stati. Riflesso delle asimmetrie profonde negli assetti di potere europei. Che non potevano che dilatarsi ulteriormente, essendo mancata una qualsiasi reazione. Finché quest’ultima non ha assunto la veste che conosciamo. Troppo facile bollarla con il termine di “sovranismo”.

La critica proviene soprattutto da un europeismo d’antan. Una retorica, quest’ultima, costruita soprattutto per occultare la difesa ad oltranza dei propri interessi nazionali. Segno di supremazia e non di quell’egemonia che dovrebbe caratterizzare la funzione della leadership, in cui oneri ed onori dovrebbero, in qualche modo, bilanciarsi. Ma questa è appunto l’Europa da costruire. Sempre che sia possibile.

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