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Sanzioni

L’Europa, l’austerità e il documento di Savona. L’intervento di Cazzola

L'intervento di Giuliano Cazzola dopo l'editoriale di Start Magazine firmato ieri da Gianfranco Polillo sul documento del ministro per gli Affari europei, Paolo Savona, inviato a Bruxelles

Nel film “Il federale’’ (di Luciano Salce – 1961) il graduato delle Brigate nere, Primo Arcovazzi, impersonato magistralmente da Ugo Tognazzi, dopo una serie di vicissitudini che risparmiamo ai lettori, non esita ad indossare l’agognata divisa da Federale, quando dopo la caduta del fascismo, tutti se ne liberavano. E per poco non rischia il linciaggio.

Mi sono ricordato di questa storia in bianco e nero quando ho letto il titolo posto sull’articolo (sempre pregevole) del mio carissimo amico Gianfranco Polillo, che invitava l’establishment ad appoggiare il documento che il ministro Paolo Savona ha inviato nei giorni scorsi alle istituzioni europee.

Nel mio piccolo non ho mai fatto parte dell’establishment (non sono mai stato invitato a Cernobbio, ad esempio), ma come Primo Arcovazzi sono tentato di intrufolarmi in ciò che ne rimane rifugiato all’interno degli ‘’antri muscosi’’ e dei ‘’fori cadenti’’, per sfuggire alle persecuzioni a cui è sottoposto. Ed è con quest’ambizione – che spero di poter finalmente soddisfare – che non sono disposto a condividere e a sostenere la “summa’’ del ministro Savona. Provo a spiegarne i motivi.

Alcuni di questi riguardano le analisi che il titolare degli Affari europei compie e gli obiettivi che vorrebbe raggiungere, sia pure attraverso l’esile proposta della costituzione di un gruppo di studio ad alto livello (che di solito non viene negato a nessuno), salvo non aver considerato che è abitudine dei maggiorenti giallo-verdi snobbare le riunioni che affrontano temi spinosi (basta vedere la linea di condotta del governo rispetto agli incontri tecnici dedicati alla riforma del trattato di Dublino).

In sostanza, allora, un anziano e distinto signore “bello di fama e di sventura’’, nella solitudine del suo studio al ministero, ha redatto un documento di contenuto vetero-keynesiano su carta intestata di un governo, che probabilmente, nella sua collegialità, quel testo non lo ha mai visto e approvato, ma, anzi, non perde occasione, da parte dei suoi esponenti di peso (ma Savona “quante divisione ha?’’ chiederebbe un Stalin redivivo) di augurarsi che tutte quelle regole, quelle istituzioni e quella moneta che Savona vorrebbe sottoporre a radicali riforme, saltino per aria in quattro e quattro otto e si ritorni ai bei tempi della sovranità e dei confini nazionali.

Perché a Bruxelles dovrebbero prenderlo sul serio quando quel documento non gode di attenzione neppure in Italia? Sia chiaro, le intenzioni del ministro sono lodevoli. Appartiene al novero di coloro che vogliono provare a “romanizzare i barbari’’ dando per ormai acquisita la loro vittoria. A questo proposito mi ha colpito un passaggio dell’articolo di Polillo.

Scrive, infatti, il mio amico: “Speriamo che l’ultima proposta di Paolo Savona metta in movimento le acque stagnanti della politica italiana. Che faccia sorgere qualche dubbio – continua – nelle certezze di un establishment, soprattutto culturale ed accademico, che ancora non si è ripreso dal contraccolpo del 4 marzo. Che ha segnato la fine di una vecchia egemonia su vasti strati di elettori, non più disposti a subire continue prediche su austerity e vincoli da rispettare. Perché “morire per Bruxelles” era un po’ come “morire per Danzica” nel secolo scorso’’.

In verità, la storia ha dato ragione a chi sarebbe stato disposto a “morire per Danzica’’ e non a chi ha continuato a “nutrire il coccodrillo’’ (Hitler) nella speranza di essere divorato per ultimo (è una frase del grande Winston Churchill). Nella sua ‘’Storia della Seconda guerra mondiale’’ lo statista inglese sostiene che affrontare la Germania nazista nel 1938 sarebbe stato più conveniente per gli alleati perché il tiranno tedesco non aveva ancora completato il programma di riarmo.

Mutatis mutandis, se ci mettiamo dal punto di vista delle forze europeiste – dove io mi sento di stare optime – non è questo il momento di cedere, ma di attaccare i sovranpopulisti (il voto del Parlamento europeo sul governo Orban è stato un segnale di svolta). Il risultato delle elezioni svedesi conferma che le forze antisistema sono in crescita ma sono ancora una minoranza. E per questi motivi è necessario stroncare sul nascere il focolaio d’infezione scoppiato in Italia (che rimane una eccezione).

Ecco perché le istituzioni europee non devono assegnare alcuna credibilità ai sedicenti mediatori, al soldo dei ‘’barbari’’. Quanto poi al fiscal compact i critici dimenticano un aspetto importante. La crisi iniziata nel 2008 (in pratica una terza guerra mondiale incruenta) ha avuto un secondo tempo, molto più grave e pericoloso del primo (l’impatto finanziario), quando sulla graticola sono finiti i debiti sovrani degli Stati (a seguito del défault della Grecia). Ed è vero che per superare la crisi le politiche pubbliche hanno mortificato l’economia reale (con incrementi di imposte e tagli alla spesa): essa però non avrebbe avuto alcuna prospettiva a fronte della bancarotta degli Stati. Pertanto le politiche di rigore non sono state un errore, ma la terapia corretta e necessaria in quel momento. Ed hanno assicurato anche la ripresa economica che, in Italia, è stata più modesta proprio perché molte, troppe politiche pubbliche il rigore si sono limitate ad addomesticarlo.

Per concludere: che l’Unione europea sia un potenziale gigante economico, ma rimanga un nano politico non lo ha scoperto Savona. Il ministro dimentica, però, che questo ‘’nano’’ malfermo ha affrontato (senza esserne travolto) una delle più gravi crisi della storia recente. L’euro è stato lo scudo della stabilità. Sarebbe ingeneroso giudicare le istituzioni europee in astratto, al di fuori del contesto in cui hanno operato nell’ultimo decennio, con i limiti dei poteri loro conferiti dagli Stati.

Chi scrive, dunque, è rimasto fermo qui: sa chi sono i suoi nemici: ‘’Queste persone – ha affermato Emmanuel Macron nel suo discorso alla Sorbona – mentono ai nostri popoli, ma glielo abbiamo lasciato fare: abbiamo fatto passare l’idea che l’Europa fosse solo una burocrazia impotente. Abbiamo ovunque, in Europa, spiegato che quando andava rispettato un obbligo europeo, che quando l’impotenza era alle porte, non eravamo noi i responsabili, ma Bruxelles. Dimenticando, così facendo – ha aggiunto – che Bruxelles non siamo altro che noi, sempre, ad ogni istante’’. Ed ancora: ‘’Queste idee hanno un nome: nazionalismo, identitarismo, protezionismo, sovranismo. Queste idee – ha proseguito Macron – hanno acceso bracieri dove l’Europa avrebbe potuto perire; ed eccole di nuovo apparire con degli abiti nuovi proprio in questi ultimi giorni. Si dicono legittime perché sfruttano con cinismo la paura dei popoli. Troppo a lungo abbiamo ignorato la loro potenza. Troppo a lungo abbiamo creduto con certezza che il passato non sarebbe tornato, che la lezione fosse acquisita’’.

Parole chiare e nette che non esitano a paragonare i pericoli di oggi alle tragedie del secolo scorso; gli attuali protagonisti a quelli di ieri con addosso ‘’un abito nuovo’’. Poi ecco l’impegno politico più significativo, quello che dovrebbe diventare il Credo di ogni vero europeo: ‘’Non cederò nulla, nulla a quelli che promettono l’odio, la divisione o il ripiego nazionale. Non gli lascerò alcuna possibilità di dettare l’agenda’’.

Molto meglio morire per Danzica, caro Gianfranco, che rassegnarsi a sentire i neo fascisti di oggi definire noi, loro avversari, ‘’servi della Germania’’. Proprio nell’anniversario delle leggi razziali.

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