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Energia

Vi racconto fatti e scazzi su Pnrr, Eurobond e non solo

L’analisi di Giuseppe Liturri Venerdì pomeriggio un laconico comunicato di cinque righe è bastato alla Corte Costituzionale tedesca per mettere per il momento in congelatore la ratifica della Decisione sul sistema delle risorse proprie della Ue, decisiva per permettere alla Ue di indebitarsi e finanziare così gli Stati membri. Senza quella ratifica da parte di…

Venerdì pomeriggio un laconico comunicato di cinque righe è bastato alla Corte Costituzionale tedesca per mettere per il momento in congelatore la ratifica della Decisione sul sistema delle risorse proprie della Ue, decisiva per permettere alla Ue di indebitarsi e finanziare così gli Stati membri.

Senza quella ratifica da parte di tutti gli Stati membri non si muoverà un centesimo dei 750 miliardi previsti dal Next Generation EU e dal suo strumento principale, il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (RRF).

Per le otto toghe rosse con sede a Karlsruhe è stato quasi un dovere richiedere al Presidente della Repubblica Federale Frank Steinmeier di non apporre la firma su quella Legge, in quanto pendevano numerosi ricorsi con procedura d’urgenza tutti concentrati su un unico tema: è conforme alla Costituzione tedesca consentire alla Ue l’emissione di debito senza un effettivo controllo da parte del Parlamento tedesco? E, come corollario: i Trattati consentono alla Ue di indebitarsi?

Giovedì il Bundestag non aveva avuto dubbi in proposito. Con una maggioranza ben superiore ai due terzi (478 su 645) aveva dato il via libera alla Decisione che disciplinerà, per i prossimi 7 anni almeno, come sarà gestito il bilancio della Ue che, per la prima volta nella sua storia, prevede che si finanzino spese non solo ricorrendo ai contributi degli Stati membri, ma indebitandosi emettendo obbligazioni.

Il dibattito tedesco è stato molto approfondito e solo la certezza, ribadita anche da Angela Merkel, che il Ngeu sia uno strumento una tantum, ha portato al voto favorevole. Nessuna unione fiscale o unione dei trasferimenti è in vista ed i tedeschi hanno solo momentaneamente derogato all’inviolabile principio che la spesa pubblica dovrebbe essere decisa solo dal Parlamento democraticamente eletto.

Poi è arrivato il fulmine, temuto ma dato per poco probabile, della suprema Corte. Un atto dovuto, si diceva. Infatti è troppo alto il rischio che una ratifica produca effetti sul bilancio tedesco che poi non possono più essere annullati. Tra dare luce verde e poi dichiarare l’illegittimità della norma (non potendo però cancellare gli effetti già prodottisi) o dare luce rossa, impedendo la produzione di effetti, i giudici non hanno avuto dubbi per la seconda.

Non sappiamo quanto tempo richiederà la Corte per il proprio esame, alcuni commentatori tedeschi hanno parlato di settimane o anche mesi. Nessuno è in grado di formulare previsioni attendibili.

Ci permettiamo di osservare che non è questo il tema rilevante, pur essendo una questione potenzialmente gravida di pesanti conseguenze. Karlsruhe è il dito, ma è alla luna che bisogna guardare. Ed allora balza immediatamente all’attenzione di tutti che, qualunque sia l’esito della decisione delle toghe rosse, c’è già da molto tempo, una certezza che campeggia: il clamoroso ritardo con cui sta giungendo a realizzazione questo fondo di aiuti. E tale ritardo è l’effetto della conclamata inidoneità della struttura istituzionale e del corpo normativo della Ue. Avete mai visto un tre ruote, guidato peraltro male, percorrere un’autostrada? Non ce la potrà mai fare ed i giudici di Karlsruhe sono stati solo gli ultimi a scoprirlo. Un fondo per la “ripresa” che arriverà, se arriverà, dopo quasi due anni dallo scoppio di una crisi economica senza eguali in tempo di pace, è una beffa.

Inoltre tale disputa giuridica potrebbe servire solo ai tedeschi per aumentare il prezzo della loro presunta solidarietà. Sarà troppo forte la tentazione di esigere contropartite in termini di ulteriore disciplina di bilancio agli Stati membri al fine di placare l’opposizione interna e soddisfare anche le presumibili richieste di “sovranità” in arrivo da Karlsruhe.

Non bisogna però sopravvalutare l’impatto di questa vicenda sul calendario di avvicinamento all’anticipo del 13% dei fondi. Infatti il vero “canale di Suez” (nella configurazione di questi giorni) è costituito dalla presentazione dei recovery plan nazionali, da eseguirsi entro il 30 aprile, e dalle 12 settimane successive a disposizione di Commissione e Consiglio per la valutazione ed approvazione, rispettivamente. Si arriva quindi al 31 luglio, nella ottimistica ipotesi che tutto fili liscio. Poiché fonti di Bruxelles contavano di concludere le ratifiche entro fine giugno — anche se poi lunedì il Commissario Paolo Gentiloni ha cominciato a mettere le mani avanti, parlando di “incognita” a proposito del processo di ratifica — al momento, lo stallo tedesco non provoca danni immediati.

I quali invece già sotto gli occhi di tutti, messi a nudo anche dal Presidente Mario Draghi che, negli ultimi due giorni proprio sottolineando l’assenza degli Eurobond ha evidenziato la pochezza degli attuali strumenti che, per la contraddizion che nol consente, non sono affatto tali. Parlare di Eurobond in quel modo, significa mettere le dita negli occhi sia ai tedeschi che ai troppi sognatori di casa nostra che “dovranno attendere generazioni”.

Chi pare invece di essere rimasto ancora con la testa tra gli studenti a Parigi è il neo segretario del Pd Enrico Letta, che ancora lunedì ha auspicato che il Next Generation Ue diventi permanente. Proprio il motivo che porterebbe i tedeschi a rifiutarlo. Ma è noto che in quel partito adorano gli autogol.

Che succederà ora? Nulla. Basta seguire alla lettera quanto disposto dai commi 1037-1050 della Legge di bilancio 2021. Sono stanziati ben 118 miliardi (di cui 34 già impegnati per Industria 4.0 ed altri aiuti) in 3 anni per finanziare gli investimenti del NGEU, e quelli di Bruxelles saranno solo rimborsi. Allora è meglio si facciano gli investimenti tanto attesi dal Paese senza subire i dannosi condizionamenti di una Ue che non può assolvere compiti a cui non è adatta.

 

 

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