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Usa e Ue si preparano a mettere dazi sull’alluminio e l’acciaio cinesi

Per contrastare l'industria cinese, Stati Uniti e Unione europea pensano di imporre dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio più inquinanti. Il libero commercio lascerà il posto al protezionismo climatico?

Gli Stati Uniti e l’Unione europea stanno valutando l’imposizione di dazi sull’acciaio e l’alluminio prodotti in Cina sulla base delle loro emissioni di CO2.

CAMBIO DI FINALITÀ D’USO?

La notizia, riportata in esclusiva da Bloomberg, è significativa perché sembra raccontare un cambiamento della finalità d’uso dei dazi, uno strumento solitamente impiegato nelle dispute commerciali ma che invece Washington e Bruxelles vogliono sfruttare anche per realizzare le loro agende climatiche.

La sola industria dell’acciaio vale il 7-9 per cento delle emissioni mondiali di anidride carbonica.

DA DOVE ARRIVA L’IDEA DEI DAZI

L’idea delle tariffe contro i produttori cinesi di alluminio e acciaio – accusati non solo di inquinare molto, in realtà, ma anche di inondare il mercato con quantità eccessive che danneggiano le aziende americane ed europee – è stata formulata dall’amministrazione del presidente Joe Biden. Non è però ancora stata elaborata del tutto né proposta in maniera formale.

Una fonte di Bloomberg ha detto che è improbabile che gli Stati Uniti arrivino a un accordo in merito con le autorità europee prima della fine del 2023.

L’ACCORDO USA-UE SULL’ACCIAIO E L’ALLUMINIO

Il quadro normativo che fa da base ai dazi proposti è l’accordo commerciale sull’acciaio e l’alluminio raggiunto dagli Stati Uniti e dall’Unione europea nel novembre 2021.

Quell’intesa infatti, oltre a risolvere le tensioni commerciali tra i due blocchi aperte dall’ex-presidente Donald Trump, portò anche all’istituzione di un coordinamento internazionale per il contrasto della produzione siderurgica maggiormente emissiva: vale a dire, nel concreto, quella cinese.

Pechino è nettamente la maggiore produttrice di acciaio e alluminio al mondo, con una quota rispettivamente del 60 e del 57 per cento circa del totale globale, nonché la nazione responsabile della maggiore quantità di emissioni di gas serra.

ALLARGARE L’ACCORDO

Pare che anche altri paesi vogliano unirsi alle discussioni tra Stati Uniti e Unione europea sul commercio “pulito” di alluminio e acciaio, ma probabilmente verranno esclusi, almeno inizialmente. Di conseguenza, è probabile che non solo le importazioni provenienti dalla Cina, ma anche dal Giappone, ad esempio, rischino di venire appesantite da dazi.

L’obiettivo di Washington, tuttavia, sembra essere quello di allargare l’accordo sull’acciaio e l’alluminio ad altre nazioni partner, a patto che ne rispettino le condizioni sulla produzione e le emissioni.

LO SCETTICISMO EUROPEO

La rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, Katherine Tai, ha presentato la proposta di dazi al commissario europeo per il Commercio Valdis Dombrovskis lo scorso fine ottobre. Le fonti di Bloomberg hanno registrato un certo scetticismo a Bruxelles su una serie di questioni tecniche, come la compatibilità delle tariffe con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio e con il funzionamento del meccanismo europeo di prezzo del carbonio.

Negli ultimi due anni il prezzo della CO2 per le industrie europee è quasi triplicato, attestandosi sugli 80 euro a tonnellata. Lo scorso marzo il Consiglio europeo ha approvato il CBAM, il meccanismo comunitario per l’imposizione di dazi sulle merci ad alta intensità di carbonio – come acciaio, alluminio, cemento o fertilizzanti – provenienti dai paesi extra-europei che non si sono dotati di politiche rigorose per il clima.

Per garantire una copertura legale alle (eventuali) nuove tariffe, l’amministrazione Biden sta pensando di convertire l’indagine commerciale che servì a Trump per imporre dazi all’acciaio e l’alluminio europei in una nuova inchiesta focalizzata stavolta sulle emissioni di CO2 e sulla sovrapproduzione.

“PROTEZIONISMO VERDE”

Clara Ferreira Marques, opinionista di Bloomberg, ha parlato dei piani di Washington e Bruxelles come di un esempio di “protezionismo verde”, ossia legato agli obiettivi di riduzione delle emissioni.

America ed Europa, scrive l’analista, “sembrano mettere al primo posto le preoccupazioni politiche a scapito dei principi del libero scambio. Rivolgendosi esplicitamente contro la Cina – non l’unica colpevole – rischiano di mettere a repentaglio anche i piccoli progressi fatti con Pechino e di accrescere le tensioni già in aumento”.

Ferreira si chiede se i dazi prevedranno delle esenzioni per la produzione industriale cinese che utilizza l’energia idroelettrica e non fossile. E pensa che “la cosa peggiore di tutte” sia “il mix di protezionismo e clima, una combinazione tossica in cui le priorità nazionali possono ostacolare la risoluzione di un problema globale”.

LA VISIONE (OPPOSTA) DI CROSETTO

Circa un anno fa, prima che venisse nominato ministro della Difesa, Guido Crosetto sostenne la necessità di dazi sulle importazioni di prodotti ad alte emissioni di gas serra e di un “protezionismo nei confronti di chi Green non è” per tutelare le industrie strategiche italiane ed europee dalla concorrenza climaticamente sleale.

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