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Coalizione Fairr

Una coalizione multimiliardaria in difesa di un’alimentazione sostenibile

Chi c’è dietro alla coalizione Fairr che vuole riformare i sussidi al sistema alimentare in favore di cibi più sostenibili (come la carne coltivata)? Fatti, nomi e numeri

 

Una coalizione di circa 370 grandi investitori internazionali che messi insieme gestiscono 71 trilioni di dollari di asset. È il gruppo Fairr, che ha sollecitato i leader del G20 a riformare i sussidi al sistema alimentare per raggiungere gli obiettivi climatici e naturalistici che i Paesi più ricchi si sono posti entro la fine del decennio con l’accordo sul clima di Parigi e il trattato sulla biodiversità delle Nazioni Unite.

ALCUNI NOMI

Tra i nomi che compongono la coalizione Fairr spiccano tra gli altri Blackrock, Rockefeller asset management, JP Morgan Wealth management e JP Morgan Asset management, Morgan Stanley Investment management, BNP Asset management, Credit Suisse, il più grande asset manager britannico Legal & General Investment Managers e molti altri.

C’è anche Good Startup, un fondo che si batte per “eliminare gli animali dal sistema alimentare” sostituendoli con proteine alternative, prodotte da piante, coltivate da cellule animali o create con organismi microbici.

IL NESSO TRA FINANZIAMENTI ED EMISSIONI

Secondo quanto previsto dal trattato sulla biodiversità, i Paesi si sono impegnati a porre fine alle sovvenzioni che danneggiano la natura entro il 2030 e se sulla riforma dei sussidi al settore energetico per scoraggiare l’uso dei combustibili fossili si è parlato molto, meno è stato deciso su come impedire che gli agricoltori risentano della trasformazione del loro settore.

Stando a un rapporto delle Nazioni Unite, citato da Reuters, circa l’87% dei 540 miliardi di dollari erogati annualmente ai produttori agricoli comprende misure che distorcono i prezzi e sono potenzialmente dannose per la natura e la salute umana. E l’agricoltura, la silvicoltura e l’uso del suolo sono responsabili di circa il 24% delle emissioni globali annue, la cui maggior parte si ritiene che sia attribuibile al bestiame.

Inoltre, uno studio britannico sull’economia della biodiversità afferma che le sovvenzioni causano ogni anno danni alla natura per 4-6.000 miliardi di dollari.

COSA CHIEDE LA FAIRR

La coalizione Fairr, il cui appello giunge a poche settimane dal G20 che si terrà in India il 9 e 10 settembre, chiede ai leader mondiali di riformare proprio il sostegno finanziario all’agricoltura e all’uso del suolo.

Gli investitori ritengono che questo debba passare per l’eliminazione graduale dei sussidi per la carne rossa e i prodotti lattiero-caseari, prodotti a elevato impatto sulle emissioni dannose per il clima, affinché i finanziamenti vengano reindirizzati a sostegno dei lavoratori colpiti, dell’agricoltura sostenibile e dei cibi alternativi a minor impatto ambientale.

PERCHÉ UNA RIFORMA

La coalizione pensa infatti che carne e prodotti lattiero-caseari sono mantenuti artificialmente a buon mercato e i finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo sono più facili da ottenere per l’agricoltura animale rispetto a quelli per la carne coltivata o le proteine di origine vegetale.

Un recente studio riportato da Edie afferma che tra il 2014 e il 2020 gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno pagato 35 miliardi di sterline di sussidi agli allevatori di carne e latticini, a fronte di appena 33 milioni di sterline di spesa pubblica per le alternative a base vegetale.

I RISULTATI DELL’ATTIVITÀ DI LOBBYING DI FAIRR

Fairr, che è stata lanciata nel 2016, ha già raggiunto un importante traguardo. Con la sua attività di lobbying sull’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) è riuscita a ottenere la stesura di una roadmap globale per il settore alimentare fino al 2050, i cui risultati saranno resi noti in occasione della COP28 che si terrà dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai.

E l’appello lanciato due anni fa ai Paesi del G20 affinché rendano noti gli obiettivi di riduzione delle emissioni agricole nei loro piani nazionali è stato ripreso anche dagli stessi Emirati Arabi Uniti, che hanno chiesto ai governi di firmare una dichiarazione che includa tale impegno.

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