Skip to content

meat sounding

Meat sounding e plant-based food, si può chiamare bistecca anche se è di soia?

Nonostante le rimostranze, per la Francia, i plant-based food, ovvero i prodotti a base vegetale, possono essere chiamati anche con nomi appartenenti a prodotti di origine animale, come bistecca o cotoletta, pure se di tofu o soia. L'Italia, per ora, prosegue la sua battaglia contro il meat sounding ma difficilmente riuscirà a evitare lo scontro con l'Ue. Fatti, fazioni e numeri del settore

 

Se è di soia non può chiamarsi bistecca. È invece sì. La Francia ha provato a opporsi ma il Conseil d’État ha bloccato l’entrata in vigore del decreto che avrebbe dovuto vietare, dal 1° maggio, l’utilizzo del richiamo alla carne nelle etichette dei prodotti a base vegetale (plant-based food), il cosiddetto meat sounding.

L’Italia, paladina di questa battaglia, con la prima legge (inapplicabile) al mondo che vieta la carne coltivata, vorrebbe introdurre lo stesso divieto respinto dal Consiglio di Stato francese, ma la questione è ancora sospesa e le aziende italiane di prodotti a base vegetale chiedono di abrogare la norma per non penalizzare la competitività.

LA NORMA FRANCESE CONTRO IL MEAT SOUNDING

La Francia, alleata dell’Italia insieme ad Austria, Repubblica ceca, Cipro, Grecia, Ungheria, Lussemburgo, Lituania, Malta, Romania e Slovacchia nell’appello all’Ue a bandire la carne coltivata e il meat sounding, aveva emanato nel giugno 2022 un decreto che vietava l’uso di denominazioni associate a prodotti di origine animale, per commercializzare alimenti contenenti proteine vegetali.

In particolare, era vietato utilizzare una denominazione legale, quando le norme che definiscono la composizione del prodotto alimentare in questione non prevedono l’aggiunta di proteine vegetali; una denominazione che fa riferimento a razze e specie animali o a tagli anatomici animali; una denominazione che utilizzi la terminologia tipica della macelleria, salumeria o pescheria; una denominazione di un prodotto di origine animale consolidata dall’uso e dalla tradizione commerciale (come ad esempio, bresaola).

LA RIVOLTA DEI PRODUTTORI PRO PLANT-BASED

Alla norma si sono però opposte diverse associazioni tra cui Protéines France, il consorzio francese di aziende che vuole accelerare lo sviluppo di proteine vegetali, l’Association Végétarienne de France e parte della società Beyond Meat. Queste hanno presentato ricorso presso il Conseil d’État che si è rivolto alla Corte di Giustizia dell’Ue, chiedendo di rispondere circa la compatibilità del decreto francese rispetto al diritto europeo.

Un nuovo decreto, notificato dal governo francese alla Commissione Ue, in sostituzione del precedente, ha poi elencato in modo più dettagliato le denominazioni, tra cui bistecca, scaloppina, filetto e prosciutto, il cui utilizzo sarebbe dovuto essere vietato per la designazione di prodotti alimentari contenenti proteine vegetali.

LA SENTENZA DEL CONSEIL D’ÉTAT (E NON SOLO)

Ora una decisione è stata presa. Mentre la Corte di Giustizia dell’Ue sta ancora valutando la legittimità dell’adozione di simili iniziative da parte dei singoli Stati membri e ha messo in dubbio la legittimità del decreto francese, il Conseil d’État ne ha bloccato l’entrata in vigore, spiegando che causerebbe un grave danno alle aziende plant-based nazionali, le quali sarebbero svantaggiate rispetto ai prodotti concorrenti importati da altri Paesi Ue in cui non si applicano le restrizioni.

Intanto, anche un tribunale austriaco ha dato ragione a un’azienda produttrice di salmone plant-based che era stata portata in giudizio con l’accusa di diffondere messaggi ingannevoli nei confronti dei consumatori.

LA REAZIONE ITALIANA

In Italia, la legge contro la carne coltivata, che tra l’altro con “l’emendamento Centinaio” vieta il richiamo alla carne nelle etichette, è stata approvata ma manca il decreto attuativo e la lista di nomi da vietare. Il ministero dell’Agricoltura e della sovranità alimentare era in attesa, da un lato, del pronunciamento della Corte europea e dall’altro, secondo quanto dichiarato dallo stesso ministro Francesco Lollobrigida, di capire gli sviluppi francesi.

Sviluppi che non piaceranno al governo ma che, invece, segnano una vittoria per i sostenitori delle alternative alla carne. “Confidiamo che anche il Governo italiano possa abrogare la legge sul meat sounding, come fatto dal Consiglio di Stato francese, che si è dimostrato lungimirante”, ha detto Massimo Santinelli, fondatore e titolare di Biolab, tra le prime aziende italiane di prodotti a base vegetale. “Tale divieto – ha aggiunto – comporterebbe un danno al settore, che invece sta registrando crescite considerevoli in termini di consumo e di mercato, e che ormai è sempre più considerato una delle principali soluzioni per l’alimentazione del futuro”.

“I rilievi del Consiglio di Stato francese rispetto alla possibile incompatibilità del divieto di meat sounding con il diritto europeo – ha dichiarato Francesca Gallelli, consulente per le relazioni istituzionali del Good Food Institute Europe – rendono ancora più urgente la necessità di abrogare la norma italiana e ripristinare la certezza del diritto: è cruciale che le aziende possano tornare a svolgere le loro attività di marketing con serenità”.

I NUMERI DEI PLANT-BASED FOOD IN ITALIA

Il settore dei plant-based food, ovvero cibi a base di proteine vegetali (che nulla c’entrano con la carne coltivata), secondo i dati di Unione italiana food riportati da Repubblica, è cresciuto dell’8% a valore nel 2022 e di quasi il 3% a volume. Nel 2022, il suo valore di mercato complessivo si attestava sui 500 milioni di euro e, secondo Good Food Institute Europe citato dal Sole24Ore, sui 680,9 milioni di euro, posizionando l’Italia al terzo posto nella classifica dei Paesi europei con più alto fatturato subito dopo Regno Unito e Germania.

A fare da traino sono soprattutto burger e piatti pronti che crescono di quasi il 12%, gelati e dessert segnano un +2,6% e le bevande registrano una crescita dello 0,4%. “I prodotti plant-based sono entrati nelle scelte alimentari di moltissime famiglie in Italia – commentava Salvatore Castiglione, presidente Gruppo prodotti a base vegetale di Unione italiana food -. Oggi sono oltre 22 milioni i consumatori che li hanno provati e poi inseriti regolarmente nella propria dieta”.

L’associazione assicura inoltre che chi li consuma non viene confuso da parole come burger, polpette o cotolette nonostante della carne non vi sia traccia: “Il 75,5% di chi li conosce sa esattamente di cosa sono fatti. Solo il 3,2% degli italiani non sa cosa siano”. Secondo l’80,9% dei consumatori infatti le etichette sono “chiare ed esplicite”, il 78,3% le trova “facili da leggere e comprensibili”, e per il 79,6% sono “veritiere e non fuorvianti”.

COSA NE PENSANO LE SOCIETÀ DI CONSULENZA

Il Sole riporta poi il parere sul settore del Boston Consulting Group (Bcg), secondo cui, sebbene il suo potenziale sia “innegabile”, è “fondamentale un approccio incentrato sul consumatore”. Infatti, “dopo le cifre esplosive registrate nel 2019 e nel 2020 (che hanno visto un aumento del 25% delle vendite al dettaglio), le vendite di carne alternativa sono diminuite dello 0,4% nel 2022, contro un aumento dell’8% della carne tradizionale”. Come ha spiegato Lamberto Biscarini, managing director e senior partner di Bcg, “l’attuale contesto di mercato, caratterizzato da aumento dei prezzi e inflazione dei costi ha rallentato la crescita delle vendite al dettaglio di carni alternative, perché non tutti i consumatori sono disposti a pagare un sovrapprezzo per questo tipo di prodotti”.

Tuttavia, la società ritiene che, aumentando la quota di prodotti plant-based a livello globale dall’attuale 2% all’8% entro il 2030, si potrebbe raggiungere una riduzione delle emissioni di CO2 equivalente alla decarbonizzazione del 95% dell’industria aeronautica.

Torna su